Un cambio di paradigma: dalla programmazione “per” alla progettazione “con”

Provate a immaginare che intere équipe di professionisti si riuniscano per progettare la vostra vita, decidendo dove vivrete, che lavoro farete, con chi trascorrerete il tempo, ma lo facciano senza consultarvi, senza chiedervi cosa desiderate veramente. Come vi sentireste?
Questo scenario, purtroppo ancora frequente nella vita delle persone con disabilità – in particolare quelle con necessità di sostegno elevato o molto elevato – sta finalmente cambiando. Il D.lgs. 62/24[1] segna un punto di svolta, definendo il progetto di vita come un “progetto individuale, personalizzato e partecipato della persona con disabilità che, partendo dai suoi desideri e dalle sue aspettative e preferenze, è diretto ad individuare i sostegni necessari per migliorare la qualità della vita“.
Non si tratta di un semplice aggiornamento normativo, ma di una vera rivoluzione culturale che pone la persona con disabilità al centro come protagonista attiva del proprio percorso esistenziale, indipendentemente dalle sue necessità di sostegno. Questo approccio è volutamente coerente con i principi fondamentali della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006), ratificata dall’Italia nel 2009, che all’art. 3 stabilisce tra i principi generali “il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte“.

Il diritto universale all’ascolto
La dignità di una persona con necessità di sostegno elevato non ha meno valore di quella di chiunque altro. Per questo, indipendentemente dal livello di disabilità, ogni persona ha il diritto di essere sostenuta nella costruzione delle proprie direzioni significative di vita attraverso opportunità concrete di accesso agli stimoli, alle attività e alle relazioni che preferisce. Il progetto di vita rappresenta un’opportunità per riorganizzare i sostegni secondo queste direzioni.

Oltre l’assistenza: verso l’autodeterminazione
La sfida più grande non è riconoscere teoricamente questo diritto, ma saperlo tradurre in pratica. Come possiamo davvero conoscere i desideri di una persona che non comunica verbalmente? Come distinguiamo le preferenze reali dai nostri desideri di operatori? Come garantiamo che sia effettivamente la persona a scegliere e non, anche con le migliori intenzioni, i suoi caregiver?
La valutazione di preferenze, aspettative e valori costituisce un cardine fondamentale per orientare il progetto di vita della persona con disabilità, indipendentemente dall’intensità di sostegno richiesto. Mentre nei percorsi per l’età evolutiva l’identificazione delle preferenze serve primariamente a individuare i rinforzatori per sostenere la motivazione nell’intervento riabilitativo e a sviluppare le competenze di scelta età-appropriate, nella progettazione per adulti questa metodologia assume valenze qualitative specifiche.
L’assessment nell’età adulta si orienta prioritariamente alla comprensione approfondita di aspettative, desideri e valori della persona al fine di utilizzare questi elementi come fondamenta direzionali del progetto esistenziale.

La valutazione come ricerca, non come giudizio
Il termine “valutazione” in questo contesto designa un processo attivo di investigazione sistematica finalizzato a identificare ciò che riveste maggiore significato per l’individuo e le sue aspirazioni personali prioritarie. È importante sottolineare che questo approccio non implica alcuna dimensione valutativa o giudicante verso le preferenze espresse, ma si configura esclusivamente come metodologia di ricerca esplorativa per leggere e fornire l’occasione per sviluppare con massima chiarezza le priorità individuali.
L’obiettivo è costruire, a partire da queste informazioni, obiettivi esistenziali, sistemi di sostegno personalizzati e opportunità coerenti con bisogni, diritti e aspirazioni della persona. La reale individualizzazione e partecipazione del progetto si realizza unicamente attraverso il coinvolgimento diretto della persona come protagonista attivo del processo valutativo, garantendo concretamente la sua piena titolarità progettuale[2].

 Le sfide della valutazione: quando comunicare è difficile

Sapere ciò che conta non è scontato per persone con disabilità intellettiva o necessità di sostegno elevato. Per Roberto, con autismo e disabilità intellettiva, il modo di porre la domanda influenza la risposta: a “preferisci pizza o pasta?” potrebbe rispondere pasta, a “pasta o pizza?” potrebbe rispondere pizza, ma se gliele offro entrambe potrebbe rifiutarle, mostrandomi che preferisce le lasagne che vede sul tavolo, magari attraverso l’emissione di un comportamento che definiamo problematico.

Come comprendere cosa conta davvero per una persona?
Prova a guardare la stanza in cui ti trovi ora e cerca il colore che ti piace di più, quello che preferisci, il più bello per te tra quelli che riesci a vedere. Oppure concentrati sul suono più dolce e piacevole che puoi ascoltare, o sulla cosa che ti dà più piacere toccare. L’hai trovato?
Forse è la prima volta che lo noti davvero. È interessante come quel colore, suono o sensazione fosse già lì, ma se non ti viene posta la domanda e l’opportunità di cercarlo ed esplorarlo, rischi di perderlo. Per alcune persone questa opportunità di esplorazione viene concessa meno frequentemente. Indipendentemente da come percepisci quel colore, suono o sensazione – che è unico come ognuno di noi – quando trovi qualcosa di importante puoi perseguirlo, magari con i sostegni adeguati.

Le barriere all’ascolto
Per alcune persone, particolarmente quelle con disabilità intellettiva o autismo, queste opportunità di esplorazione e di ascolto vengono offerte più raramente. Questo accade per diverse ragioni e barriere, a volte anche culturali. Raramente viene chiesto direttamente alla persona cosa sia importante per lei, perché spesso pensiamo di saperlo già o presumiamo di conoscere le sue priorità.
In altri casi, il modo in cui la persona comunica ciò che è importante per lei potrebbe non essere facilmente comprensibile per noi, rendendo difficile sostenerla. Questo avviene quando la persona non utilizza il linguaggio vocale, o quando esprime le sue preferenze attraverso comportamenti che definiamo “problematici”.
Le procedure hanno funzione di garantire, sulla base dell’evidenza scientifica, che sia la persona a esprimere preferenze, evitando sovrapposizioni involontarie dei desideri del caregiver.

 Gli strumenti della valutazione: dall’osservazione al colloquio

La letteratura scientifica ci offre metodologie validate per accedere al mondo delle preferenze, utilizzabili anche con persone con necessità di sostegno elevato o molto elevato[3].

Definire lo “stimolo” nella valutazione
Nella letteratura scientifica, il termine stimolo si riferisce a qualsiasi elemento o cambiamento del contesto esperibile dalla persona. Potrebbe essere un evento, oggetto, immagine, parola scritta, parola pronunciata, profumo, attività, luogo, persona o qualsiasi altra cosa importante per la persona. Nel linguaggio comune potremmo riferirci a esperienze o opportunità sulle quali si desideri che la persona possa esprimere una preferenza.
Le procedure tipicamente utilizzano oggetti o eventi concreti (cibi, attività, persone) o immagini (foto, disegni) presentati secondo diverse modalità. È importante che lo stimolo sia tale per quella specifica persona: deve essere esperibile e avere funzione stimolo. Ad esempio, un’immagine di un luogo potrebbe non essere accessibile per una persona con disabilità sensoriale visiva o intellettiva che non stabilisce corrispondenza tra immagine e il posto reale.
Questo è uno dei motivi per cui non esistono set standardizzati validi per tutte le persone, ma esistono procedure per valutare se alla persona sia stata data l’opportunità di esprimere una preferenza.

Procedure indirette e dirette
Il punto di vista dei caregiver. Esistono procedure indirette in cui non si osserva direttamente la persona. Sono spesso questionari in cui vengono indicate le preferenze e è ragionevole iniziare chiedendo ai caregiver che condividono la quotidianità con la persona. Tuttavia, la letteratura evidenzia frequenti discrepanze tra indicazioni dei caregiver e preferenze realmente espresse. Quindi le procedure indirette non possono essere considerate esaustive e considerarle sufficienti per la valutazione delle preferenze e la realizzazione dei sostegni nel progetto di vita non è una opzione raccomandabile sia dal punto di vista scientifico sia rispetto alla titolarità e al supporto alla partecipazione della persona con disabilità.
L’osservazione sistematica. L’assessment diretto osserva i comportamenti della persona esposta a stimoli o attività. Le Linee Guida sull’autismo dell’Istituto Superiore di Sanità raccomandano l’utilizzo delle valutazioni dirette secondo modalità sistematiche come pilastro per la costruzione del progetto di vita.

Il colloquio sui valori
Quando le capacità comunicative lo permettono, il colloquio rappresenta uno strumento fondamentale per esplorare desideri e valori personali. Approcci evidence-based come il Colloquio sui Valori[4], basato sull’Acceptance and Commitment Therapy, permettono di esplorare sistematicamente quello a cui la persona dà valore nei diversi domini della qualità di vita attraverso domande concrete e supporti comunicativi personalizzati.
Strutturato come Behavioral Skill Training, fornisce opportunità di scelta libera utilizzando stimoli evocativi e supporti comunicativi. Può essere esteso da valori generali a domini specifici (lavoro, famiglia, diritti), culminando nell’identificazione di comportamenti realistici e obiettivi temporalmente definiti.

L’autodeterminazione come necessità universale

Già dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso Deci e Ryan[5] identificavano l’autodeterminazione come “la capacità di scegliere fra varie opportunità e di impiegare quelle scelte per determinare le proprie azioni personali. Le persone hanno una naturale propensione a svilupparsi psicologicamente, ad adoperarsi per superare autonomamente le sfide dell’ambiente, a mettere in atto comportamenti autodeterminati“.
L’autodeterminazione, quindi, prima ancora di essere una capacità, è una necessità che per essere raggiunta richiede non soltanto competenze della persona, ma anche un contesto favorevole e la messa a disposizione di adeguati sostegni individuali e sociali. In questa prospettiva l’autodeterminazione caratterizza ogni individuo perché per esercitarla non è richiesto di saper svolgere autonomamente tutte le attività connesse: diventare agente causale della propria vita non significa saper fare tutte le cose che si desiderano in autonomia[6].

Il ruolo cruciale della formazione
È fondamentale che gli operatori siano formati su procedure evidence-based. Le metodologie non sono neutrali: il modo in cui poniamo una domanda, il canale comunicativo utilizzato, può influenzare significativamente la risposta. Per Roberto, persona con autismo e disabilità intellettiva, una domanda verbale “preferisci pizza o pasta?” può portare a risposte diverse da quelle ottenute offrendo concretamente entrambe le alternative.
Le procedure hanno la funzione di garantire, sulla base dell’attuale evidenza scientifica, che sia proprio la persona a esprimere preferenze, desideri o valori, evitando sovrapposizioni involontarie dei desideri del caregiver o dell’operatore.

Dall’assessment all’azione: costruire opportunità concrete
Le informazioni raccolte devono tradursi in opportunità reali attraverso l’organizzazione dei sostegni che permette il progetto di vita. Maria, che attraverso la valutazione aveva mostrato interesse per le attività creative, non ha semplicemente ricevuto materiali per disegnare occasionalmente, ma ha visto strutturarsi un laboratorio artistico settimanale, l’opportunità di decorare spazi comuni, la partecipazione a corsi nella comunità e uno spazio personale dedicato all’arte.

Verso un approccio integrato
Le diverse procedure non sono autoescludenti. È raccomandabile utilizzare multiple metodologie: per esempio stimolo singolo per attività occupazionali, stimoli appaiati per oggetti tangibili, free operant per il tempo libero, colloquio sui valori per domini esistenziali. Questa integrazione permette di costruire un quadro completo e dinamico delle preferenze della persona. L’Istituto Superiore di Sanità auspica che vengano attivati progetti di ricerca capaci di produrre procedure di valutazione utili anche per le persone verbalmente fluenti.

Conclusioni: verso servizi centrati sulla persona

La valutazione delle preferenze, desideri e valori costituisce il cuore di una progettazione realmente centrata sulla persona. Il processo richiede formazione specifica su metodologie di assessment, attenzione costante al punto di vista della persona, capacità di tradurre informazioni in opportunità concrete, flessibilità per adattamenti temporali.
La sfida è sviluppare strumenti per accedere sempre meglio al mondo interiore delle persone con disabilità e costruire servizi capaci di rispondere creativamente ai desideri espressi, lavorando insieme e rendendole partecipi della costruzione.
Questo rappresenta un cardine nel cambiamento di prospettiva: se la persona non viene vista come destinataria di interventi ben pensati da altri, ma come protagonista attiva del proprio percorso di vita, perché non partire proprio dal creare opportunità in cui possa esprimere e venire ascoltata riguardo a ciò che realmente conta per lei.
 

[1] Per approfondimenti si segnalano alcuni contributi pubblicati su LomabrdiaSociale.it:
Franchini R., Il Progetto di Vita: verso la sperimentazione, 19 giugno 2024
Merlo G., Disabilità: un progetto (di vita) per tutti, 21 giugno 2024
Ghisolfi G., Riforma 62/24: impatti sulla riorganizzazione dei servizi, 23 maggio 2025
[2] Corti, S., Cavagnola, R., Carnevali, D., Leoni, M., Fioriti, F., Galli, L., … & Chiodelli, G. (2023), Il Progetto di Vita orientato alla Qualità di Vita della persona con autismo. Giornale Italiano dei Disturbi del Neurosviluppo, GIDIN, 8 (1), 19-26.
[3] Cavagnola, R., Corti, S., & Miselli, G. (2023), Preferenze e valori nelle persone con autismo e disabilità intellettiva: Manuale operativo, Vannini.
[4] Miselli, G., Berna, S., Paci, C., Cavagnola, R., Fioriti, F., Leoni, M., Michelini, G., Galli, M. L., Uberti, M., Chiodelli, G., & Corti, S. (2018), Il colloquio sui valori per le persone con Disturbi del Neurosviluppo Parte 1: contesto, valore e procedure. Giornale Italiano dei Disturbi del Neurosviluppo GIDIN, 4(1), 90-118.
[5] Deci, E. L., & Ryan, R. M. (1985), Intrinsic motivation and self-determination in human behavior, New York: Plenum Press.
[6] Cottini, L. (2016), L’autodeterminazione nelle persone con disabilità: percorsi educativi per svilupparla, Edizioni Centro Studi Erickson.