di Stefania Delendati*
C’è una discriminazione sottile, fatta di parole sussurrate tra le righe, a metà strada fra il detto e il non detto che tuttavia dice, eccome. Non è esplicita, ma non servono frasi pesanti per ferire e rimarcare quella distanza tra “noi e loro” che alcuni proprio non vogliono colmare. Il risultato è la costante esclusione, «ti accettiamo» (bruttissima parola, “accettiamo”) e subito dopo ti facciamo notare che no, «tu non sei “normale”». Come in una delle tante vicende che ci vengono segnalate
C’è una discriminazione sottile, fatta di parole sussurrate tra le righe, a metà strada fra il detto e il non detto che tuttavia dice, eccome. Non è esplicita, ma non servono frasi pesanti per ferire e rimarcare quella distanza tra “noi e loro” che alcuni proprio non vogliono colmare. Il risultato è la costante esclusione, «ti accettiamo» (bruttissima parola, accettiamo) e subito dopo ti facciamo notare che no, «tu non sei “normale”».
Alla nostra redazione arrivano spesso segnalazioni che riguardano fatti di questo genere, persone con disabilità e loro familiari che si trovano spiazzati, a non saper come gestire situazioni evidentemente discriminatorie, perpetrate con modalità insinuanti tali da gettare “colpevolezza” sulla condizione di disabilità, è accaduto anche di recente.
Due genitori e la figlia con disabilità hanno trascorso un periodo di vacanza in un agriturismo. Al termine del soggiorno, qualche ora dopo la partenza, sono stati contattati dalla direzione della struttura ricettiva che ha imputato alla ragazza la colpa del forte odore di urina presente nell’appartamento e ha chiesto il rimborso delle spese per la sostituzione del materasso. I genitori hanno pagato, pur sottolineando che non esistevano prove di quanto affermato dalla direzione.
Se la vicenda è conclusa dal punto di vista legale e giudiziario, rimane in questa, come in altre situazioni simili, una profonda amarezza e il disagio morale di vedere additata la disabilità, dando per scontato che ad essa sia collegato senza ombra di dubbio un danno o un disagio subito da altri.
Nella lettera che i familiari hanno inviato al Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità, al Garante dei diritti alla persona della Regione Marche, nonché al Centro Studi Giuridici HandyLex della Federazione FISH, c’è la dignità di genitori che domandano il diritto al rispetto, quello stabilito dalla Costituzione Italiana e dalla Legge 67 del 2006 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), quest’ultima una norma di civiltà che sancisce il diritto di chi vive una disabilità a non essere discriminato anche attraverso comportamenti posti in essere per motivi connessi alla propria condizione che creano un clima di umiliazione e ostilità nei suoi confronti.
«Riteniamo […] che l’utilizzo pretestuoso di un’associazione diretta del presunto danno alla condizione di disabilità di nostra figlia costituisca un pregiudizio ingiustificato e discriminatorio sia nei confronti della ragazza che nei confronti di noi caregiver, in contrasto con i princìpi sanciti dalle normative nazionali e internazionali in materia di tutela delle persone con disabilità», si legge nella lettera. «Eventi di questo genere possono infatti riguardare qualsiasi ospite (bambini, donne, persone anziane), e attribuirli automaticamente alla disabilità costituisce una generalizzazione offensiva e stigmatizzante».
La lettera prosegue mettendo in chiaro che «lo scopo di questa segnalazione non è il recupero delle somme pagate a titolo di rimborso, bensì portare all’attenzione delle Autorità competenti un comportamento che riteniamo discriminatorio e umiliante, affinché episodi simili non si ripetano nei confronti di altre persone con disabilità, causando ad altri lo stesso disagio da noi subito. La vicenda, infatti, ha comportato un danno morale significativo […]».
Neppure noi siamo qui per entrare nel merito legale ed economico della vicenda, ma per fare un discorso più generale, un discorso culturale che ruota intorno alla disabilità vista ancora con sospetto, un qualcosa che turba l’ordine della “normalità”. È una “logica” più diffusa di quanto si pensi, che scivola silenziosa nel linguaggio e nei comportamenti quotidiani, dove la “diversità” diventa un disturbo al punto da venire bollata come colpevole non appena si presenta un problema.
*Direttrice responsabile di Superando.

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