Io stessa sono una sibling essendo sorella di una persona con disabilità di 46 anni[1].
Nella mia famiglia d’origine non si riusciva a vedere in prospettiva: i miei genitori facevano parte della schiera di quelli che dicono “finché ci siamo noi lui vivrà sempre con noi”. Non c’era nessuna apertura verso altre idee, così come c’era ostilità verso la protezione giuridica.
Poi l’inaspettato. Tredici anni fa nostro padre morì in pochi giorni e nostra madre, già con sue fragilità pregresse e una forma depressiva, venne travolta dal lutto improvviso.
Chi rimase a tenere il timone?
Benché fossi sempre stata molto presente nella vita di mio fratello, mi ritrovai catapultata in un mondo di cui conoscevo meno di quanto pensassi. Dovetti iniziare a intrattenere rapporti con figure professionali (assistenti sociali, educatori, operatori sanitari), enti vari e soprattutto con il giudice tutelare poiché richiesi la nomina ad amministratore di sostegno.
In pratica, mi ritrovai a gettare le basi del Progetto di vita di mio fratello.

All’epoca già da tempo facevo parte di gruppi di sostegno per sibling[2]. Fu la mia fortuna perché mi consentì di accedere alle esperienze di altre persone che avevano già affrontato problemi simili; inoltre ebbi modo di scoprire che ciò che stava accadendo a me, ritrovarsi più o meno repentinamente a dover diventare LA figura di riferimento per la vita di un fratello o sorella con disabilità, è cosa molto, molto comune.
Di fatto, siamo la prima generazione di sibling che si trova a dover affrontare un doppio invecchiamento: quello dei propri genitori e quello dei fratelli e sorelle con disabilità intellettiva, che oggi hanno un’aspettativa di vita non dissimile da quella della popolazione generale. Questo significa che i sibling vivono un periodo molto lungo di responsabilità, spesso non pianificata, sia nei confronti dei genitori anziani, sia nei confronti dei fratelli e sorelle con disabilità.
Possiamo affermare che il Progetto di vita della persona con disabilità riguarda in maniera molto diretta i sibling poiché il legame di fratria attraversa tutte le fasi della vita, ma si intensifica oltremodo quando si diventa adulti e si forma una famiglia propria, che significa coinvolgere persone nuove nelle relazioni complesse tipiche di una famiglia con un membro con disabilità.
Va anche tenuto conto che molto spesso in famiglia è presente una certa ambivalenza di messaggi: da un lato i sibling vengono esortati a farsi una vita propria ma implicitamente passa anche il messaggio che un giorno toccherà comunque a loro prendersi cura della persona con disabilità. C’è una consapevolezza subliminale di questo mandato, una predestinazione: tutti sanno e si aspettano che i sibling si faranno carico del familiare con disabilità.

Soluzioni attuali di residenzialità

Al momento attuale – oltre alle CSS e alle RSD, le tradizionali Unità di Offerta sociosanitarie – la soluzione più diffusa per affrontare il cosiddetto “dopo di noi” è costituita dalla residenzialità condivisa: esistono le comunità alloggio, le microcomunità, i Gruppi appartamento, il cohousing, gli appartamenti Legge112. Sono tutte soluzioni di fondamentale importanza nella vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Danno la possibilità di sperimentarsi al di fuori del nucleo familiare, mettere alla prova le competenze sviluppate e le autonomie conquistate, consolidare il proprio essere persone adulte. Tuttavia, nonostante gli indubbi meriti di queste soluzioni abitative, purtroppo ancora oggi la maggior parte di queste realtà non sono assolutamente in grado di rispondere ad un Progetto di vita individualizzato poiché soffrono di schemi di organizzazione interna troppo rigidi, del tutto standardizzati. Ad esempio, in un giorno prestabilito della settimana, è prevista l’attività di fare musica con gli ospiti della casa di riposo, anche se è poco divertente e se si trarrebbe maggior beneficio dal fare invece un’attività sportiva o anche se qualcuno quel particolare giorno preferirebbe semplicemente riposare sul divano.
Chi conosce in prima persona queste realtà può citare mille esempi in cui le reali esigenze del singolo individuo devono essere ricondotte all’interno delle logiche del gruppo, impedendo di fatto una risposta adeguata alle esigenze della persona.
Queste realtà, ormai diffuse sul territorio da alcuni decenni, negli ultimi anni stanno trovando grande espansione proprio perché le famiglie d’origine sono sempre più in affanno o vengono meno naturalmente. L’esperienza prodotta fino ad oggi è un bene preziosissimo a cui è importante attingere nella progettualità di nuovi contesti di vita per le persone con disabilità[3].

Le possibilità di vivere al di fuori della famiglia sono da sempre uno dei principali temi affrontati dai sibling nei gruppi di sostegno a loro rivolti. I gruppi più diffusi si concentrano sulle prime fasce d’età, bambini e adolescenti, e si occupano di dare supporto riguardo all’accettazione e la convivenza con una condizione diversa dalla propria. I sibling adulti godono di minore considerazione, ritenendo probabilmente che abbiano già accettato il proprio ruolo e le relative implicazioni nelle proprie vite. Tuttavia, come abbiamo visto, è proprio nella età adulta che i sibling sono più direttamente coinvolti nell’elaborazione e nella strutturazione del Progetto di vita; molti sono già dovuti subentrare ai genitori, a loro volta anziani, magari con fragilità o già venuti a mancare e si trovano quindi con un bisogno molto sentito benché poco esplicitato.
È stato partendo da questo bisogno, attraverso le condivisioni dei vissuti, delle perplessità, dei dubbi riguardo la capacità di comprendere appieno quali sono i desideri e anche le possibilità a cui i nostri familiari con disabilità possono avere accesso, che nel Gruppo tra Pari ci siamo concentrati su cosa significa elaborare un Progetto di Vita con lo sguardo dei sibling.
Quali sono le premesse necessarie?

Trasparenza, dialogo, consapevolezza

  • È necessario partire da un confronto familiare franco e trasparente: in quale misura e in quale maniera i sibling vogliono essere presenti nella vita della persona con disabilità o, meglio, quanta presenza del familiare con disabilità possono accogliere nel quotidiano della loro vita, tenuto conto di lavoro, partner, figli, impegni vari. È evidente che essere disponibili a vedersi a pranzo tutte le domeniche è diverso da essere disponibili a passare tutte le vacanze insieme, o addirittura a vivere insieme, imponendo le esigenze della persona con disabilità a tutti gli altri componenti della famiglia.
  • Chiarire la disponibilità ad assumere la rappresentanza giuridica della persona con disabilità: se da una parte significa acquisire il potere di tutelare il proprio familiare, dall’altra vuol dire assumersi la responsabilità di decidere insieme a lui/lei quale sia la scelta migliore in qualunque ambito della vita di una persona sì con disabilità, ma pur sempre adulta. Ci sono occasioni in cui lo scegliere insieme non è possibile o perlomeno non è realizzabile: in questi momenti, l’onere dell’ultima parola può non essere affatto leggero.
  • Chiarire la disponibilità a investire tempo e attenzione ad acquisire nuove competenze, ossia studiare leggi e regolamenti, imparare nuovi linguaggi, tessere nuove reti di relazioni nelle quali spesso si incontrano interlocutori poco collaborativi.
  • Chiarire la disponibilità a estendere la consapevolezza dei diritti della persona con disabilità, e di riflesso dei suoi familiari, e padroneggiare tutti gli strumenti per farli onorare, destreggiandosi tra le molte normative in continuo divenire.

Qualora queste premesse siano partecipate in modo autentico, tanto dai sibling quanto dai genitori, può avvenire un coinvolgimento pieno, con un graduale passaggio di consegne e di responsabilità di tutti gli aspetti della vita della persona con disabilità. In questo modo si può ottenere un quadro ampio e dettagliato sul quale fondare un Progetto di vita il più possibile aderente ai desideri e alle necessità della persona con disabilità.

Il ruolo dei sibling nella ideazione del progetto di vita

Acquisite queste premesse, qual è il ruolo dei sibling nella ideazione del Progetto di vita?

  • Essere testimoni di quanto è stato fatto finora per e da la persona con disabilità in termini di competenze, abilità, autonomie; e per contro quali sono le fragilità e le aree in cui vi sia necessità di sostegno;
  • essere interpreti dei desiderata della persona con disabilità in primis ma anche dei genitori e degli stessi sibling, essendo coloro che li conoscono appieno;
  • dare contenimento alle aspettative rispetto a persone o situazioni, sia che siano troppo idealizzate sia che siano troppo pessimistiche;
  • essere mediatori verso una visione infantilizzante della persona con disabilità ancora troppo diffusa, aiutando a coglierne appieno l’adultità nelle declinazioni possibili per quella persona;
  • essere capaci nella gestione delle risorse economiche e patrimoniali e nell’accesso a sostegni economici previsti dalle normative, per procedere alla stesura del Budget di progetto quale parte integrante del Progetto di vita.

Essere sibling significa anche essere i depositari di una biografia unica: si tratta di un ruolo complesso e articolato, ma altrettanto estremamente prezioso nel suo essere al contempo testimonianza e progettualità.

Conclusioni

Il Progetto di vita di una persona con disabilità inizia con la sua nascita, si delinea durante l’adolescenza e dispiega tutta la sua potenzialità con l’arrivo dell’età adulta. È fondamentale che venga coltivata una coesione di intenti che, partendo dalla famiglia, possa coinvolgere tutti gli attori chiamati a vario titolo alla stesura del Progetto di vita così che questo diventi davvero una co-progettazione. È importante che la famiglia per prima, nella sua totalità, abbia lungimiranza, così da presentarsi alle figure deputate a prendere in carico la persona con disabilità con già un’idea di Progetto di vita che sia veramente rappresentativo e rispettoso dell’individualità peculiare di quella persona con disabilità; altrimenti il rischio è che siano altri a cucirle addosso un Progetto di vita che soggiace ad altre logiche.
In questo modo ai sibling di persona con disabilità verrà data la possibilità di assumere la regia della vita del fratello o sorella; perché la loro vita, di fatto, è anche la nostra.


[1] Nel maggio scorso si è svolta la Milano Civil Week 2025, occasione nella quale le associazioni Vivi Down ODV e AGPD Onlus hanno organizzato un evento dal titolo “Vita indipendente: oltre la legge, verso il futuro”. L’evento ha voluto dare spazio e voce a numerose testimonianze di familiari e operatori impegnati ogni giorno nella ideazione del Progetto di Vita per le persone con disabilità come previsto dalla Legge di Regione Lombardia 25/2022 e successivamente dal Decreto Legislativo 62/2024.  Vivi Down, per la quale da tre anni coordino il Gruppo tra Pari rivolto ai sibling di persone con sindrome di Down over-30, mi ha affidato l’incarico di portare una testimonianza diretta sullo sguardo dei sibling e sul loro coinvolgimento nel Progetto di vita dei loro fratelli e sorelle.
[2] Sul nostro territorio regionale esistono diversi gruppi di sostegno per sibling, ma ad oggi non risulta essere disponibile una mappatura che può essere consultata pubblicamente. A titolo esemplificativo, si informa che sul territorio milanese oltre all’associazione Vivi Down, sono presenti anche le seguenti altre due realtà che propongono azioni di sostegno rivolte ai sibling: la Fondazione Idea Vita e la Fondazione Paideia.
[3] Esempi sul territorio regionale presentati in alcuni contributi pubblicati su LombardiaSociale.it:
Bestetti V., Le Chiavi di Casa. Aprire le porte all’autonomia, 18 giugno 2025
Rete TikiTaka, Abitare e disabilità tra cambiamento e continuità, 20 novembre 2024
Rigamonti R. e Plebani R., La Casa di Quartiere Laorcalab, un’esperienza nel lecchese, 28 maggio 2024
Turatto R., Autismo, il progetto “Appartamenti in Centro”, 28 novembre 2023