Le scuse questa volta non bastano

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Pubblichiamo il testo della lettera inviata da LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità alla giornalista di "Repubblica", Concita De Gregorio, che il 4 agosto ha pubblicato un editoriale in cui definisce "decerebrati assoluti" dei giovani che hanno danneggiato una statua ottocentesca per scattarsi un selfie. Un articolo che ha suscitato diverse critiche da parte di persone con disabilità, familiari e associazioni a cui è seguito un secondo editoriale intitolato "La morte del contesto"

La vicenda è semplice: per stigmatizzare il comportamento di alcuni influencer che hanno rotto una statua e scattarsi un selfie da postare sui loro canali social lei li ha definiti semplicemente degli “handicappati”. Utilizzando termini molto crudi e duri. Senza lesinare descrizioni molto particolareggiate che rimandano a un’idea molto precisa delle persone con disabilità.

Quella adottata nel testo della sua rubrica del 4 agosto non è una scelta particolarmente originale. Molti degli insulti e delle parolacce che utilizziamo per denigrare le persone che riteniamo nostri avversari o semplicemente meritevoli del nostro giudizio negativo sono termini come “idiota”, “imbecille”, “cretino”. Parole che in passato hanno designato, anche da un punto di vista medico e scientifico, la condizione delle persone con disabilità.

Il motivo è semplice. Lei considera questi influencer (per il comportamento che hanno avuto) delle persone inferiori, indegne di appartenere alla nostra società almeno fino a quando non troveranno il modo di redimersi in qualche modo. Per spiegare questo -per dirlo il più duramente possibile- li definisce degli “handicappati”.

Perché in fondo lei -come grandissima parte dell’umanità- pensa che le persone con disabilità siano inferiori, che valgano meno e siano meno umane degli altri. Quello che lei ha messo in atto è un processo di inferiorizzazione che non colpisce solo le persone con disabilità, ma anche tante altre minoranze.

Non è questione di “politicamente corretto”. Il punto non è l’utilizzo di termini giusti o sbagliati. E soprattutto non è questione di contesto. Qui non c’è nessun contesto. È questione di sentimento, è questione di pensiero, è questione di cultura. Evidentemente, nonostante i buoni studi e le buone intenzioni lei ancora pensa che le persone con disabilità valgano meno degli altri.

In questo caso le scuse non bastano, ci vuole una conversione.

Cordiali saluti
LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità

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