O ci sono gli accomodamenti ragionevoli o il licenziamento è discriminazione

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«Questa pronuncia è molto importante perché sancisce il principio secondo cui se il licenziamento di un lavoratore con disabilità ritenuto inidoneo a svolgere determinate mansioni è stato attuato senza una previa valutazione e predisposizione degli accomodamenti ragionevoli necessari, il licenziamento va dichiarato nullo in quanto discriminatorio»: così Gaetano De Luca, uno dei legali di una persona con disabilità, commenta una recente Sentenza con cui il Tribunale di Ravenna ha condannato il Ministero dell’Istruzione «per violazione della normativa antidiscriminatoria»

«Questa è una pronuncia particolarmente importante perché ha sancito il principio secondo il quale l’idoneità di un lavoratore con disabilità a svolgere determinate mansioni va valutata alla luce dell’obbligo di predisposizione di adeguati accomodamenti ragionevoli per andare incontro alle esigenze del lavoratore stesso. Pertanto laddove emerga che il licenziamento di un lavoratore con disabilità ritenuto inidoneo a svolgere determinate mansioni sia stato attuato senza una previa valutazione e predisposizione degli accomodamenti ragionevoli necessari, il licenziamento va dichiarato nullo in quanto discriminatorio. La normativa italiana ed europea sul punto è infatti chiara, anche se evidentemente ancora poco conosciuta da molti datori di lavoro»: a dirlo è Gaetano De Luca, il legale che insieme a Giovanna Dell’Anna ha assistito una persona con disabilità con invalidità al 100% e nello specifico il datore di lavoro di cui si parla è il Ministero dell’Istruzione, condannato «per violazione della normativa antidiscriminatoria» dal Tribunale Civile di Ravenna, tramite una recente Sentenza (disponibile integralmente a questo link).

Si tratta certamente di un pronunciamento degno di grande attenzione e destinato a costituire un prezioso precedente giurisprudenziale, il cui cardine fondamentale – come già in un’altra Sentenza della Corte di Cassazione della primavera scorsa, di cui avevamo scritto a suo tempo – è il comma 3 del Decreto Legislativo 216/2003 (Attuazione della direttiva 2078/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro), ove si legge al comma 3-bis dell’articolo 3 che «al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. I datori di lavoro pubblici devono provvedere all’attuazione del presente comma senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente».

Altro punto di riferimento della Sentenza è il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (Decreto Legislativo 81/08), ove all’articolo 42, comma 1 (Provvedimenti in caso di inidoneità alla mansione specifica) si scrive che «il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68 […], attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza».

Ebbene, entrambe tali disposizioni, secondo il Tribunale di Ravenna, «risultano violate nel caso di specie», ciò che conferma quanto correttamente sottolineato da De Luca, ovvero che esse, evidentemente, sono ancora poco conosciute da molti datori di lavoro.

Il Ministero dell’Istruzione, in conclusione, è stato condannato a «risarcire il danno al ricorrente, danno liquidato nelle retribuzioni spettanti sino alla fine del contratto a tempo determinato, oltre a interessi legali sulle singole mensilità», nonché «a riumborsare al ricorrente le spese di lite». (S.B.)

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