Caregiver familiare: un position paper per le istituzioni

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Presentato oggi a Roma “Caregiver, Valore per la Cura”, documento contenente le richieste dei caregiver alle istituzioni, prodotto da oltre una trentina di associazioni

Chiunque si trovi a dover prestare assistenza a un proprio caro, nel bisogno per malattia o vecchiaia, lo sa e lo dice a gran voce: “Non sono nato caregiver, mi ci sono trovato”. «Caregiver familiare si diventa e lo si diventa per costrizione. A quel punto le speranze sono compromesse, si vive con paura, ansia e incertezza». Queste sono le parole lasciate sulla carta da Paolo Pasini, fondatore dell’Associazione italiana pazienti con sindrome mielodisplastica Aipasim, mancato il mese scorso, che fino all’ultimo ha lavorato al position paper “Caregiver, Valore per la Curacontenente le richieste dei caregiver alle istituzioni, condiviso con altre trenta associazioni e presentato oggi a Roma nel corso di un evento istituzionale.  L’iniziativa coincide con una fase di nuova attenzione nei confronti del mondo dei caregiver, come conferma anche la recente formazione del “Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari”, sulla base di un decreto firmato dal ministro del lavoro e delle politiche sociali e il ministro per le disabilità, il cui lavoro terminerà auspicabilmente con l’avvio di una legge che dia una cornice normativa a questa figura. Chi fornisce assistenza gratuita svolge anche un ruolo sociale, perché supplisce alle mancanze del sistema nazionale; inoltre, un paziente al domicilio significa più posti liberi in lungodegenze e Rsa e meno costi per lo stato. Al contempo, però, il caregiver perde giornate di lavoro, tempo con i propri affetti e spesso la propria salute.  In Italia, i caregiver informali sono oltre 7 milioni, e molti di più sono i caregiver professionisti, o formali, quelli che svolgono l’attività di assistenza a pagamento.

L’indagine sui caregiver familiari

Il progetto “Caregiver, valore per la cura”, realizzato con Takeda Italia, include anche un’indagine “Il caregiver nelle malattie rare, oncologiche e croniche” realizzata da Elma Research su 318 caregivers formali, coloro che svolgono attività di assistenza ai propri cari in modo gratuito e senza una formazione specifica alle spalle. Ancora mancano di riconoscimento giuridico, di formazione specifica e informazioni anche pratiche per svolgere al meglio le proprie attività quotidiane di assistenza, il tempo richiesto per le quali viene sottratto alla vita familiare, personale e lavorativa, trovandosi a dover ridurre le ore lavorative quando non abbandonando temporaneamente o definitivamente il lavoro.  Dall’indagine, quella qualitativa comprende 18 interviste di due ore, e quella quantitativa 300 interviste online, condotta su caregiver di pazienti cronici, rari e oncologici, emerge che essi sono donne nel 56% dei casi, in oltre la metà dei casi (55%) assistono un genitore, seguito dal partner (16%). Le attività di assistenza occupano circa 6 ore al giorno e comprendono il supporto affettivo e morale, la gestione della routine quotidiana del paziente, l’organizzazione di visite e terapie e il disbrigo della burocrazia medica, come le pratiche di invalidità e accompagnamento. La quotidianità del caregiver è faticosa e molto complessa: il 64% dei caregiver segue il percorso sanitario del paziente, il 60% le pratiche burocratiche e il 46% lo supportano nella gestione delle terapie; il 51% dei caregiver per l’assistenza si avvale di sanitari a pagamento, ma il medico di famiglia si conferma come il principale supporto.

Spesso il caregiver familiare non è solo, ma condivide l’attività di assistenza con altri (nel 62%), nel 51% dei casi si tratta di un supporto esterno a pagamento, nel 34% una badante e nel 3% un centro diurno. «Se da un lato non vogliono essere categorizzati ed etichettati come caregivers, dall’altro lamentano il mancato riconoscimento del proprio ruolo» spiega Massimo Massagrande, ceo di Elma Research, che elenca i quattro caregiver tipici, suddivisi sulla base della propria propensione, stile e appagamento dell’assistenza svolta. Perché ogni situazione è diversa e per alcuni il peso emotivo può essere insostenibile.

«L’esperienza ci ha insegnato che il caregiver è un attore fondamentale della cura, tanto che negli ultimi tempi abbiamo concentrato la nostra attenzione su questa figura sempre più importante: da questa osservazione è partita l’idea, condivisa con Takeda Italia, di realizzare un’indagine conoscitiva sui caregiver familiari italiani. I dati emersi sono molto rappresentativi dell’attuale scenario e mostrano chiaramente come le persone che noi preferiamo chiamare “donatori di assistenza” riferiscano molti bisogni, tra questi prioritari la semplificazione delle pratiche burocratiche, il supporto psicologico e l’accesso ai servizi socioassistenziali» ha detto Giuseppe Cafiero, presidente Aipasim.

Mosso da tutta la buona volontà o senso del dovere possibili, il familiare può iniziare ad ammalarsi essi stesso e combatte costantemente con il problema del tempo, come ha evidenziato Mario Tarricone, dell’Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma Ail, ricordando il suo percorso professionale come dirigente delle risorse umane in azienda e in accademia: «Il tempo e la sua gestione può diventare un problema lavorativo». Infatti, è importante che ciascuno faccia la sua parte per aiutare chi deve occuparsi di un proprio caro, in primo luogo le imprese: «Noi abbiamo 16 settimane di congedo ai papà e anche un programma per i lavoratori caregiver. Ogni azienda dovrebbe fare la sua parte» ha detto Anna Maria Bencini, General Manager Takeda Italia.

Come emerge dalla ricerca di Elma Research, sul fronte delle richieste il 78% riferisce la necessità di servizi socioassistenziali e tra questi quello maggiormente desiderato è l’assistenza domiciliare (34%) seguito dalla consegna dei farmaci a casa (34%) e da facilitazione del trasporto; una maggiore informazione sul piano della tutela e dei diritti assistenziali e previdenziali del paziente, nonché sulle questioni pratiche inerenti la propria attività, è richiesta dal 56% dei caregiver; mentre il 46% sente il bisogno di un supporto psicologico per l’alto carico emotivo che l’attività di caregiving comporta con fasi alterne di scoraggiamento e sfiducia.

La legge non diventi un alibi: «Attenzione a non attribuire ai caregiver ruoli che non competono loro, in altre parole a non usare la legge come alibi per non fornire il necessario supporto socio-sanitario-assistenziale ai pazienti» ha messo in guardia Annalisa Scopinaro di Uniamo, membro del tavolo ministeriale chiamato a individuare i principi sui quali una legge nazionale dovrà poi basarsi. «Abbiamo sei mesi di tempo per lavorare e ci riuniamo ogni settimana». Scopinaro evidenzia alcuni aspetti: «l’aspetto economico, a fronte di scarse risorse messe in campo; il problema delle competenze di chi deve occuparsi di un paziente, si pensi a malattie complesse come la Sla; della disomogeneità delle situazioni per cui si dovrebbe distinguere la disabilità motoria e quella psichiatrica, molto più debilitante per il caregiver; infine, è necessario armonizzare le situazioni regionali ed evitare che le iniziative in avanti di singole regioni vanifichino gli sforzi sul fronte nazionale».

Un appello alla non frammentazione e a mantenere bene chiara in mente la situazione complessiva in cui un caregiver, sia esso formale o informale, si trova ad operare viene da Antonino Trimarchi, Responsabile Centro Studi Card Italia Area dell’Integrazione, del coordinamento attività territoriale Apss di Trento e di Coordinamento Parkinson Italia, che ha ribadito la necessità di abbandonare ogni tentazione retorica di affermazione della superiorità del caregiver familiare su quello professionale. Inoltre, Trimarchi sottolinea i vantaggi di «unità di valutazione multidimensionale pubblica che uniscano tutti i servizi del territorio, sociali, assistenziali, sanitari e tutte le figure coinvolte, dai familiari agli Oss e così via, sulla base della stratificazione dei bisogni sociali e sanitari del singolo, con un monitoraggio nel tempo di come vengono soddisfatti».

A tutte queste esigenze rispondono i 4 punti del Position Paper:

1.         Riconoscere la figura del caregiver, promuovendo l’omogeneità legislativa tra tutte le Regioni, rafforzando le misure che possano conciliare il ruolo di caregiver con il lavoro e la famiglia, istituendo la Giornata nazionale del caregiver, introducendo incentivi fiscali, flessibilità sul lavoro, agevolazioni e contributi per l’assistenza.

2.         Ampliare l’accesso ai servizi socioassistenziali, garantendo in modo omogeneo sul territorio nazionale una rete con servizi di accompagnamento, assistenza domiciliare al trattamento, consegna dispositivi e farmaci a domicilio e agevolando l’accesso ai servizi anche attraverso la digitalizzazione degli sportelli e dei touch point.

3.         Promuovere la formazione e l’informazione, istituendo sportelli/info point dedicati ai caregiver nei differenti setting assistenziali – ASL, ospedali, studi dei medici di medicina generale – e attivare un portale web con informazioni sulle differenti patologie, che possa indirizzare i caregiver, realizzando corsi di formazione a distanza e manuali specifici.

4.         Dare supporto ai bisogni emotivi, attraverso servizi di counselling e/o psicoterapia, centri di ascolto per caregiver e numeri dedicati per offrire supporto psicologico.

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