Scuola, la lunga battaglia per disegnare un futuro nel segno dell’inclusione

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Il mito dell’inclusione a scuola“. È tutto oro quel che luccica o bisogna scavare più a fondo per portare a galla “il regno della menzogna”? Si ringrazia – si fa per dire – Ernesto Galli della Loggia per il suo commento a tinte fosche che fa sprofondare tutto in un buco nero senza alcuna speranza per il futuro. 

Lo ringraziamo perché ci permette invece di illuminare la via che, faticosamente, ha permesso alla scuola italiana di rivedere un po’ di luce in fondo al tunnel, grazie soprattutto alle molte battaglie che, proprio con  lo scopo ultimo dell’inclusività reale, continuano nell’intento di renderla un luogo aperto a tutti e tutte.

Nel vero senso della parola e con un’evoluzione sia in termini di esperienze didattiche inclusive che si realizzano ogni giorno nelle nostre scuole, che di linguaggio. 

Il mito dell’inclusione a scuola“. È tutto oro quel che luccica o bisogna scavare più a fondo per portare a galla “il regno della menzogna”? Si ringrazia – si fa per dire – Ernesto Galli della Loggia per il suo commento a tinte fosche che fa sprofondare tutto in un buco nero senza alcuna speranza per il futuro. 

Lo ringraziamo perché ci permette invece di illuminare la via che, faticosamente, ha permesso alla scuola italiana di rivedere un po’ di luce in fondo al tunnel, grazie soprattutto alle molte battaglie che, proprio con  lo scopo ultimo dell’inclusività reale, continuano nell’intento di renderla un luogo aperto a tutti e tutte.

Nel vero senso della parola e con un’evoluzione sia in termini di esperienze didattiche inclusive che si realizzano ogni giorno nelle nostre scuole, che di linguaggio. 

Gli inizi

A cominciare da quel 1977 in cui per la prima volta, con la legge 517, si entra nella cosiddetta fase dell’integrazione scolastica. La norma abolisce le classi differenziali e le scuole speciali che di fatto, con la Riforma Gentile del 1923, avevano caratterizzato il sistema scolastico fino alla fine degli anni ’70.

La Riforma aveva sì riconosciuto per la prima volta il diritto allo studio per le persone con disabilità, ma li etichettava ancora come “anormali”, “minorati”, “instabili”, “disadattati”, e li escludeva ghettizzandoli in istituti o classi create ad hoc.

Non cambia molto neanche con il documento Falcucci del 1975 che, pur introducendo un nuovo termine, e cioè “ragazzi handicappati”, non fa altro che avvalorare la tesi secondo cui la scuola italiana continua in quel periodo a non essere pronta a una vera e propria apertura. 

I paladini della diversità

Sullo sfondo di quegli anni, però, emergono figure che vanno contro il sistema dell’epoca in cui si privilegiavano soprattutto i figli delle classi agiate, relegando ai margini i meno abbienti. Figuriamoci poi chi aveva una disabilità.

Sono personaggi che iniziano a scendere in campo in nome di “una istruzione di qualità, equa e inclusiva“. Se già la scuola di Vittorino da Feltre nella prima metà del ‘400 si riproponeva di accogliere i più meritevoli andando al di là delle distinzioni di ceto sociale, fu Comenio, due secoli dopo, a segnare una vera e propria svolta nella pedagogia, introducendo il concetto di scuola universale.

Il suo ideale era quello di “insegnare tutto a tutti, ovvero di dare a tutti i giovani virtù e conoscenza perché attraverso l’educazione si poteva creare l’armonia tra tutti gli uomini e il creato. Non fu da meno Johann Heinrich Pestalozzi, nato e cresciuto in Svizzera ma con genitori di origine italiana.

Pestalozzi, nella prima metà dell’800, aveva dedicato tutta la sua vita all’istruzione dei ceti più modesti con il fine di favorire lo sviluppo di una dignità uguale per tutti. Ma è sulla scia degli insegnamenti di Don Lorenzo Milani che si consolidano le battaglie che porteranno prima all’integrazione e poi all’inclusione.

Don Milani è al fianco degli emarginati, i ragazzi poveri, quelli dimenticati dallo Stato. Per lui la scuola deve diventare un mezzo per dare a tutti strumenti culturali affinché diventino liberi e uguali. È in quel “I care” (“mi sta a cuore”), affisso all’ingresso della scuola di Barbiana da lui fondata a pochi chilometri da Vicchio, nel cuore del Mugello fiorentino, che sta la differenza. 

La rivoluzione della scuola a tappe

Bisogna aspettare però la legge 517 del 1977 per far sì che anche alunni e alunne con disabilità possano frequentare la scuola insieme agli altri, per poi arrivare al 1992 con la 104 che, finalmente, prevede una riorganizzazione completa del sistema di supporto e di inclusione sociale e lavorativa per coloro che “presentano una minorazione fisica, psichica e sensoriale, tenendo conto delle specifiche esigenze e garantendo loro il pieno godimento dei diritti fondamentali”.

A scuola, per la prima volta, si lavora per la realizzazione di un progetto globale e individualizzato con la coordinazione tra servizi scolastici, sanitari socio-assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi.

Si afferma che “nelle scuole di ogni ordine e grado sono garantite attività di sostegno mediante l’assegnazione di docenti specializzati e sulla base del profilo dinamico-funzionale e del conseguente piano educativo individualizzato”.

Si riconosce dunque in maniera più incisiva la figura dell’insegnante di sostegno e la sua contitolarità nelle classi in cui opera. Siamo ancora però ben lontani dal significato vero e profondo che ha poi acquisito il termine “inclusione”, e ce lo dimostra l’uso della terminologia perché il termine “persona handicappata” rimarrà ancora per molto permeato nei meandri del nostro background linguistico e culturale.

La legge 104, con le successive linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità del 2009, fa da ponte verso la fase vera e propria dell’inclusione quando nel 2010 viene riconosciuta per la prima volta l’esistenza dei DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento): dislessia, discalculia, disgrafia e disortografia.

Si tratta di quei disturbi che da sempre “si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana”.

Fino ad ampliare, con la direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012, la platea di studenti che richiedono un’attenzione speciale per diverse ragioni che hanno a che fare anche, oltre che con i DSA, con i disturbi evolutivi specifici (deficit del linguaggio, abilità non verbali e della coordinazione motoria), e lo svantaggio sociale e culturale dovuto all’appartenenza a un’altra cultura, e che si riuniscono sotto il termine BES, ovvero Bisogni Educativi Speciali.

Problematiche che non vengono certificate ai sensi della legge 104 del ’92 come disabilità, ma che hanno fatto emergere l’attenzione anche su questi aspetti. E anche la scuola inizia ad attrezzarsi, predisponendo quei famosi “Pdp, ovvero piani didattici personalizzati”.

Gli stessi che Galli della Loggia richiama con superficialità e sufficienza nel suo commento e che, invece, vengono vagliati con attenzione da tutto il consiglio di classe prima di essere autorizzati e sono uno strumento valido per favorire percorsi di didattica individualizzata e personalizzata, ricorrendo a strumenti compensativi e misure dispensative. 

ICF, disabilità e inclusione

Sono una persona, non la mia disabilità“. Lo ha detto Mar Galcerán, deputata valenciana con sindrome di Down.

Se già nel 2006 la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità fissa la definizione tutt’ora ufficiale, abbandonando invece i terimi ‘handicappato”, “disabile’ o ‘diversamente abile’, è con l’introduzione dell’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) che nella scuola italiana si attua il vero cambiamento.

Con il nuovo paradigma per inquadrare la disabilità, deciso da 192 Stati, non ci si focalizza più solo e unicamente sul deficit di funzionamento della persona, ma sull’interazione tra quest’ultimo e l’ambiente in cui vive la persona.

L’ICF descrive la disabilità come esperienza umana che tutti possono sperimentare. Attraverso di esso si vuole quindi parlare non delle persone specifiche, ma di situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale.

L’individuo non è più solo la persona con malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità. Nel 2015 la Riforma della Buona scuola con i successivi decreti –tra cui il Dlgs 66/2017– fa suoi tutti i nuovi riferimenti introdotti dall’ICF per gli studenti con disabilità.

Ed è qui che ci sia riallaccia con discorso sull’inclusione. 

L’inclusione oggi, in barba al pregiudizio

È vero, l’Italia è l’unico esempio in cui, nell’ottica dell’inclusione nel vero e proprio senso del termine, gli studenti con disabilità frequentano le stesse classi dei compagni, e la figura dell’insegnante di sostegno assume un ruolo chiave affinché questo avvenga.

Si tratta di docenti che soprattutto negli ultimi anni, parallelamente all’evoluzione legislativa e sociale, hanno iniziato a seguire corsi di specializzazione e ad agire all’interno delle istituzioni scolastiche facendosi portatori di un cambiamento reale.

Ed è su questo tipo di formazione che bisogna continuare a investire, lottando per rendere più inclusive le scuole stesse, agendo proprio su quel contesto in cui siamo immersi e di cui si parla nell’ICF. Eliminando le barriere che possono influire negativamente sul funzionamento bio-pisico-sociale della persona con disabilità e non solo.

Mettendo sì in atto strategie mirate sulla persona quando si tratta di disabilità grave, come afferma a più riprese Lucio Cottini professore universitario di pedagogia speciale, ma provando anche a farlo in contesti collettivi, con progetti che prevedano il piccolo gruppo, o il lavoro di coppia.

Dice bene Dario Ianes, professore universitario di pedagogia dell’inclusione e fondatore del Centro Studi Erickson, in un’intervista su Vanity Fair: “Pure i più bravi a scuola possono acquisire nuove competenze proprio grazie all’interazione con i compagni, anche quelli con gravi deficit.

Oltre a sviluppare empatia e sensibilità, si sviluppa una competenza metacognitiva forte dovendo impegnarsi per spiegare alcuni concetti ai loro pari in difficoltà”.

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