Dal nostro osservatorio rileviamo che su 959 gruppi AMA mappati in Lombardia, 34 (pari al 3,55%) sono  dedicati alla disabilità.
Con tutti i limiti di ogni categorizzazione, possiamo individuare tre categorie di partecipanti ai gruppi AMA sulla disabilità:

  • Persone con disabilità
  • Genitori/familiari di persone con disabilità
  • Fratelli/sorelle di persone con disabilità (siblings)

Dei 34 gruppi, 21 sono composti da genitori di figli con disabilità e familiari in genere, 12, da persone con disabilità e 1 da fratelli/sorelle di persone con disabilità.
Se questi numeri potrebbero indurre a ritenere che l’AMA non sia diffuso nell’ambito della disabilità – e certamente lo è meno di quanto non lo sia in quello delle dipendenze o del disagio psichico e delle patologie mentali –  tuttavia l’esperienza ci dice che negli ultimi anni – almeno a partire dall’inizio degli anni 2000 –  tale pratica ha acquisito sempre maggior importanza, è stata scoperta come risorsa preziosa anche per coloro che a vario titolo afferiscono al mondo della disabilità.

Gruppi AMA per genitori/familiari

Come in diverse occasioni ci è stato testimoniato, la partecipazione ad un gruppo AMA è per i genitori di figli con disabilità di grande supporto, consente loro di fare un percorso, di rivedere il modo di relazionarsi col proprio figlio, ma anche di lavorare su di sé come persone e non unicamente come mamma o papà di…, quindi sui loro desideri, paure, rabbie ecc.

Come è noto, uno dei grossi nodi che i genitori di figli con disabilità devono affrontare è quello del cosiddetto “dopo di noi”, della vita del proprio congiunto al di fuori della famiglia, tema che presuppone il pensarlo come persona adulta, come altro da sé, in grado di “farcela” anche da solo o con altre persone che si prendano cura di lui. I genitori devono dunque accompagnare il figlio verso la condizione adulta, ma, per far questo, devono a loro volta essere accompagnati, sostenuti lungo quel percorso che, come ci ha detto di recente una mamma “li porta dal pensare al proprio cucciolo, al pensare al proprio ragazzo”. Riteniamo che questa frase sia molto più significativa di tutti i discorsi che si possono fare su questo tema; il primo passo che i genitori devono fare per accompagnare il proprio figlio verso una vita autonoma è infatti abbandonare l’immagine dell’eterno bambino, “il cucciolo da proteggere”, per abbracciare quella dell’adulto, qualunque sia la condizione psico-fisica del figlio stesso.
Sempre la mamma in questione ci ha riferito che questo cammino l’ha fatto nel gruppo AMA, dove si è innanzitutto sentita accolta, capita, dove ha condiviso gioie, ma anche dolori profondi, e dove in definitiva si è sentita in una nuova famiglia. Essere in un gruppo AMA per genitori significa anche poter beneficiare dell’esperienza di chi è più avanti nel percorso, che si sentirà in un certo senso gratificato dal poter condividere, mettere a disposizione di altri ciò che ha vissuto, appreso, sperimentato, sia in positivo che in negativo; d’altro canto quei genitori che, magari semplicemente per ragioni anagrafiche, devono ancora affrontare determinate tappe e tutto il carico di angoscia, paure, dolore che esse comportano, possono trarre giovamento dallo scambio con i più “anziani” e soprattutto non si sentiranno soli.

Lo scopo dei gruppi AMA non è il fare, ma il condividere esperienze, vissuti, sentimenti; può succedere tuttavia che il rapporto fra i membri del gruppo vada anche al di là del gruppo stesso, per cui per esempio se una persona in ambito lavorativo è un esperto fiscalista piuttosto che un avvocato o altro, può mettere a disposizione le sue competenze a persone che ne abbiano bisogno. Questo porta a fare rete – magari io avvocato aiuto te che a tua volta sei un idraulico a cui mi potrò rivolgere se mi si rompe un tubo di casa – ed è facile intuire l’enorme portata di tutto ciò, che ancora una volta va al di là degli aspetti pratici. Infatti non solo la rete può dare risposta a bisogni concreti e contingenti, ma rafforza il sentirsi supportarti, il sapere di poter contare su qualcuno che a sua volta conta su di noi, in un rapporto di totale gratuità e reciprocità.

Gruppi AMA per persone con disabilità

Discorsi più o meno simili possono essere fatti per i gruppi AMA dedicati alle persone con disabilità, dei quali tuttavia non si può non rilevare la grossa inferiorità numerica. Lungi dall’avere delle risposte, ci pare utile riflettere su quali possano essere le cause, ciò che frena, che impedisce o quanto meno non favorisce la partecipazione delle persone con disabilità ai gruppi AMA.

Senza dubbio ci possono essere delle difficoltà oggettive, legate alla mobilità, al trasporto, alla comunicazione per alcune persone molto problematica; riteniamo tuttavia che sia riduttivo e lontano dal vero pensare che ci siano solo cause di natura pratica. Temiamo che il “nulla su di noi, senza di noi” sia ancora troppo lontano dall’essere patrimonio della nostra cultura. Questo tema merita un approfondimento a parte, non oggetto di questo contributo. Non possiamo comunque non sottolineare in questa sede quanto abbiamo riscontrato nei gruppi AMA: una fatica a coinvolgere direttamente le persone con disabilità in ciò che le riguarda, non meno che una fatica delle stesse persone con disabilità a farsi coinvolgere, anche cercando soluzioni alternative che permettano di superare i possibili ostacoli. Il retaggio di una cultura assistenzialistica e paternalistica, per cui, come detto sopra, la persona con disabilità è considerata un eterno bambino da proteggere, da guidare, e che non è in grado di autodeterminarsi è molto difficile da scalfire. Indubbiamente negli ultimi decenni sono stati fatti enormi passi avanti in un’ottica di inserimento e di inclusione della persona con disabilità nella società, tuttavia, a nostro parere, e i dati in nostro possesso sembrano confermarlo, siamo ancora lontani da riconoscerle pienamente lo status di persona adulta, capace anche di un’interazione positiva e propositiva con le altre persone.

Ciò detto, la nostra esperienza rileva che i gruppi AMA per persone con disabilità sono una grossa risorsa per quanto riguarda per esempio l’autostima: soggetti da sempre abituati a ricevere aiuto, a essere più o meno passivi nelle relazioni interpersonali, si scoprono capaci di dare qualcosa agli altri, anche solo attraverso il racconto della propria esperienza e del proprio vissuto, di essere risorsa per sé e per gli altri, di poter interagire e giocarsi alla pari con gli altri. La relazione non è più unidirezionale, ma circolare – la circolarità è propria dei gruppi ama – e ognuno è chiamato a stare nel gruppo, a dare e ricevere, secondo le proprie capacità e la propria voglia di mettersi in gioco.
Succede anche che sia il gruppo ad attivarsi per superare le difficoltà, per esempio di comunicazione, che un membro può incontrare, e cercare strategie efficaci per aggirare gli ostacoli. Ognuno mette a disposizione degli altri le proprie abilità: per esempio in un gruppo per persone con disabilità fisica può succedere che chi ha meno difficoltà di movimento aiuti gli altri a levarsi il cappotto e ad accomodarsi, oppure se nel gruppo c’è una persona che capisce meglio di un’altra che ha difficoltà a esprimersi, ecco che diventa il suo “traduttore” e in questo modo facilita la comunicazione all’interno del gruppo stesso.
Sono piccoli esempi, se vogliamo anche banali, che però aiutano a capire come spesso siano le stesse dinamiche che si creano nel gruppo a far crescere i singoli membri e il gruppo stesso, a favorire quell’empowerment che è uno dei principali obiettivi dell’AMA.

Gruppi AMA per fratelli e sorelle

Come sopra accennato, ci sono gruppi AMA per fratelli e sorelle di persone con disabilità, anche se il loro numero è molto minore rispetto a quelli dedicati ai genitori o in generale ai familiari. Rispetto a questo tema, bisogna rilevare che i fratelli e le sorelle delle persone con disabilità sono sempre stati e con ogni probabilità lo sono ancora i grandi dimenticati, coloro dei quali nessuno si è mai occupato, perché tutti concentrati sulla persona con disabilità, bambino, ragazzo, adulto, e tutt’al più sui suoi genitori. Non si è dato spazio e cura ai loro vissuti, sentimenti, rabbie, paure. I gruppi AMA costituiscono un’opportunità per poter dare finalmente voce a ciò che hanno dentro, sofferenze, ma anche gioie e speranze. E’ per queste persone un’occasione per poter parlare del proprio passato, ma anche del presente e del futuro; non sono rari infatti i casi in cui siano proprio i fratelli e le sorelle a dover subentrare ai genitori nella cura o nel supporto al proprio fratello/sorella con disabilità e ciò può essere foriero di problemi di vario tipo. Ancora una volta il gruppo AMA può essere una risorsa preziosa per queste persone, un momento di condivisione di ciò che si prova e soprattutto di ciò che si è, un’occasione per far pace col proprio passato e cercare di prepararsi al meglio per affrontare il futuro.

Gruppi AMA online

La nostra pur breve panoramica sui gruppi AMA dedicati alla disabilità, non sarebbe completa se non accennassimo all’online, “nuova” modalità di ritrovarsi che si è sviluppata negli ultimi due anni e mezzo a causa della pandemia. E’ molto difficile avere stime numeriche che diano una fotografia precisa del fenomeno; sappiamo però che molti gruppi già esistenti hanno adottato questa soluzione per continuare a incontrarsi e a sostenersi nei momenti difficili della pandemia.
Anche se va dato atto che alcuni servizi di diurnato si sono attivati per trovare nuove forme di vicinanza e sostegno, è però un dato di fatto che le persone disabili e le loro famiglie sono stati lasciati soli ad affrontare un periodo così complicato. E’ facile allora intuire l’importanza di continuare a incontrarsi col gruppo, pur fra le mille difficoltà che l’online poteva comportare, a sentire una vicinanza non fisica ma di sentimenti, un’empatia che la distanza materiale non poteva cancellare, ma che forse si rafforzava proprio in risposta alla situazione di grande bisogno ed emergenza che accumunava tutti. Non solo gruppi già esistenti hanno continuato a incontrarsi online, ma sono nati nuovi gruppi direttamente con questa modalità che, tra le altre cose, favorisce l’incontro anche con persone distanti geograficamente, magari residenti in altre città o regioni che ben difficilmente avrebbero partecipato allo stesso gruppo ama in presenza.
Sarebbe interessante poter monitorare l’evoluzione di questi gruppi, per capire se e quanti ritornano ad incontrarsi in presenza e se questo è un semplice tornare alla situazione precedente la pandemia o se il gruppo si scopre diverso, modificato e come.

Quale rapporto tra auto mutuo aiuto e welfare pubblico

Se l’AMA è una risorsa importante per il benessere delle persone, è utile chiedersi se e come sia inserito e valorizzato nel nostro sistema di welfare pubblico, se questi due mondi siano invece paralleli, senza cioè un punto d’incontro, destinati a proseguire ciascuno per la propria strada.
Premesso che i dati in possesso non ci consentono di fare affermazioni assolute che dovrebbero essere suffragate da ricerche e analisi di carattere scientifico, rileviamo tuttavia che il nostro welfare fatica a recepire l’importanza dell’ama e a inserirlo in modo organico nei suoi piani di intervento.
Se guardiamo ai gruppi AMA per la disabilità, ma non solo, notiamo che solo una percentuale minima è stata promossa e costituita dai servizi pubblici – ovviamente ci riferiamo all’ambito socio-assistenziale –, per la maggioranza invece questa funzione è svolta dal no profit o privato sociale (associazioni, cooperative sociali, fondazioni ecc.).
Per renderci conto del peso che il privato sociale esercita all’interno del nostro sistema di welfare, basti pensare che nella sola Lombardia ci sono quasi 20.000 associazioni, che nel corso dei decenni hanno creato e implementato vari tipi di servizi per la comunità, tra i quali anche l’ama.
In un’ottica di sussidiarietà, che l’associazionismo e il privato sociale in genere abbia un ruolo di maggior prossimità verso i cittadini non è, secondo noi, di per sé un fatto negativo, anzi è una cosa buona e auspicabile; senza dubbio esso gode di una maggior agilità e possibilità di azione rispetto ai vincoli burocratici e amministrativi, che ci sono, ma sono minori di quelli degli enti pubblici. E’ altresì innegabile che proprio per la loro natura gli enti no profit sono più vicini alle persone, ne percepiscono con più facilità i bisogni, gli umori, le istanze e riescono a dare risposte efficaci e mirate.

Il problema non è dunque se il gruppo per i genitori di persone disabili sia promosso da un’associazione piuttosto che dal servizio sociale di zona, quanto il fatto che l’AMA, e tutto quello che concerne la sua diffusione e promozione, compreso il reperimento delle risorse non solo economiche, non rientri in modo stabile e continuativo nelle linee guida e nelle politiche del welfare pubblico. Quando parliamo per esempio di promozione dell’AMA non ci riferiamo soltanto alla questione del reperimento degli spazi fisici dove i gruppi si possano incontrare – sarebbe auspicabile avere a Milano, piuttosto che in altri luoghi una Casa dell’AMA – ma anche al bisogno di diffondere la conoscenza di questa metodologia, di far sì che le persone sappiano che esiste questa opportunità, che magari in alcuni momenti della vita può divenire risorsa anche per loro. Benché l’AMA in Italia sia abbastanza diffuso – nella nostra mappatura nazionale sono presenti 3.582 gruppi divisi per regioni e aree di bisogno – non possiamo certo affermare che questa metodologia, questa opportunità, questa risorsa sia conosciuta dal grande pubblico, che spesso anche le parole auto mutuo aiuto non siano fraintese, non inducano le persone a pensare ad altre forme di mutualità, altrettanto valide e importanti, ma che non c’entrano nulla con i gruppi AMA. La questione allora diventa la diffusione della conoscenza: io devo sapere che esiste questa opportunità, come so che esiste il dentista se ho mal di denti o il caf se ho un problema fiscale, poi potrò anche non averne mai bisogno in tutta la mia vita, ma senza conoscenza non potrò ricorrervi in caso di necessità.
Questa è una delle funzioni che, a nostro parere, potrebbe e dovrebbe svolgere l’ente pubblico: informare, promuovere la conoscenza, anche attraverso campagne di sensibilizzazione che avvicinino le persone a questo mondo. L’ente pubblico in questo senso può arrivare anche laddove la singola organizzazione no profit non riesce.
Esso inoltre potrebbe esercitare una funzione di collante, di ponte tra chi si occupa di AMA e le altre realtà: per esempio il mondo della scuola; lo accenniamo solo, ma la metodologia AMA, cioè il modo di stare nel gruppo, di rapportarsi agli altri, una volta appresa, può essere applicata anche in altri ambiti di vita. Pensare dunque di introdurre questa metodologia per esempio nella scuola, piuttosto che in altri ambiti lavorativi, potrebbe essere una mossa vincente, che diventerebbe più efficace se a supporto delle organizzazioni no profit ci fosse l’ente pubblico.


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