La CAA, strumento di dialogo, apprendimento e inclusione

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Un po’ di storia della CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa), quell’insieme di conoscenze, strategie e tecnologie che hanno lo scopo di migliorare e incrementare le capacità comunicative di coloro che hanno difficoltà, temporanee o permanenti, nell’utilizzo del linguaggio orale e scritto. Di tale metodica si incominciò a parlare negli Anni Cinquanta del Novecento, fino ad arrivare all’oggi e alle grandi potenzialità di essa, quale prezioso strumento di dialogo, apprendimento e inclusione, nei confronti di persone con disabilità (e non solo) e anche per il mondo della scuola

La CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa) è sostanzialmente un insieme di conoscenze, strategie e tecnologie che hanno lo scopo di migliorare e incrementare le capacità comunicative di coloro che hanno difficoltà, temporanee o permanenti, nell’utilizzo del linguaggio orale e scritto. L’uso dei gesti, di simboli, di immagini e ausili tecnologici consente dunque alla persona con difficoltà di sperimentare un modo di comunicare comprensibile a tutti, così da non dipendere costantemente dai familiari, altrimenti chiamati a tradurre bisogni e pensieri. L’insieme di strategie della CAA ha anche l’obiettivo di potenziare il linguaggio verbale.
Questo tipo di comunicazione viene definita aumentativa in quanto non si limita a sostituire o a proporre nuove modalità comunicative, ma, analizzando le competenze del soggetto, indica strategie per incrementare le stesse (ad esempio le vocalizzazioni o il linguaggio verbale esistente, i gesti, nonché i segni). Viene inoltre definita alternativa in quanto si avvale di strategie e tecniche diverse dal linguaggio parlato.
Si tratta di un approccio che ha come obiettivo finale la creazione di opportunità di reale comunicazione e di effettivo coinvolgimento della persona; pertanto dev’essere flessibile e su misura della persona stessa.

I primi semi per il futuro della CAA sono stati gettati negli Anni Cinquanta del Novecento. Michael Williams, infatti, una persona con complessi bisogni comunicativi, racconta che nei suoi primi anni comunicava con suoni comprensibili solo ai suoi genitori. In seguito, per farsi comprendere anche da persone esterne all’ambiente familiare, tracciava dei gesti nell’aria come per scrivere parole, fino a quando un collega, stanco di vederlo gesticolare nell’aria, gli portò una tabella alfabetica, che diede inizio per lui ad una nuova vita.
Tra gli Anni Cinquanta e gli Anni Settanta il progresso delle cure mediche e riabilitative portò ad un aumento di casi di bambini sopravvissuti a nascite premature e di adulti sopravvissuti a ictus, traumi e malattie. Per molti di loro residuavano come postumi situazioni di grave disabilità motoria e impossibilità a comunicare attraverso il linguaggio orale. Pochi riabilitatori, andando contro corrente, iniziarono a suggerire metodi aumentativi per favorire la comunicazione e iniziarono a diffondere i risultati di queste esperienze.
Tra il 1960 e il 1970, poi, si iniziò a non nascondere più la disabilità. Il presidente degli Stati Uniti Kennedy e altri personaggi famosi cominciarono a rendere noto di avere parenti con deficit comunicativi, ciò che portò ad una prima iniziale accettazione della disabilità e, quindi, a modalità di comunicazione diverse dal linguaggio orale. Le comunità di sordi anticiparono questo processo di legittimazione di un linguaggio alternativo, esigendo il diritto di essere educati utilizzando la Lingua dei Segni.
All’Ospedale Universitario statunitense di Iowa City dal 1964 al 1974 venne condotto un primo programma di CAA rivolto a bambini con paralisi cerebrale infantile. Nel frattempo si sviluppava anche l’idea che la tecnologia potesse aggirare la disabilità comunicativa e venivano usate per la comunicazione macchine da scrivere adattate.
Negli Anni Ottanta, infine, la CAA si diffuse sempre più, in seguito alla nascita dell’ISAAC, la Società Internazionale per la Comunicazione Aumentativa e Alternativa, composta da professionisti, utenti e familiari.

Dopo le paralisi celebrali infantili, la CAA venne usata anche per persone con ritardo mentale grave e altre tipologie di disabilità con disturbi della comunicazione associati, oltreché con gravi disturbi di comprensione del linguaggio. In tale metodo di comunicazione non esistono soluzioni universali adatte ad ogni soggetto. Al contrario, per ogni persona è necessario creare un intervento ad hoc e ogni strumento va scelto in base alle caratteristiche del paziente e al momento particolare della sua vita in cui viene richiesto; lo strumento stesso, quindi, va migliorato, adattato o aggiustato secondo necessità, oltre ad essere personalizzato per l’individuo.
Con la CAA il bambino viene stimolato a progredire nella sua evoluzione linguistica, poiché sarà in grado di costruire una frase, pur non riuscendo ad esprimerla verbalmente. Va aggiunto che nel bambino non ci sono prerequisiti minimi necessari, non c’è un livello cognitivo minimo, o di gravità, o di età al di sotto del quale sia sconsigliato iniziare con la CAA.

I vantaggi dati dalla CAA sono molteplici e qui di seguito elenchiamo i principali.
° Ha l’obiettivo di mettere ogni persona con bisogni comunicativi complessi nelle condizioni di poter effettuare delle scelte, esprimere un rifiuto, un consenso, raccontare, esprimere i propri stati d’animo. Comunicare significa anche influenzare il proprio ambiente e diventare protagonista della propria vita.
° Non si fonda sull’esercizio, ma su esperienze di reali comunicazioni offerte alla persona con bisogni comunicativi complessi.
° Può essere uno strumento efficace per memorizzare un testo. Associando delle immagini ai vari concetti, si facilita l’apprendimento.
Ciò che va tenuto presente è:
– l’importanza, per una buona riuscita del progetto di CAA, della partecipazione alle sedute dei partner comunicativi e di frequenti momenti di confronto con gli operatori di riferimento;
– che i sistemi di CAA sono efficaci se, oltre a essere accompagnati da un training rivolto alla persona con bisogni comunicativi complessi, vengono condivisi e supportati dalla maggioranza delle persone che fanno parte dei contesti maggiormente frequentati, al fine di evitare una “separazione” tra i vari ambienti di vita.

Tra gli strumenti più conosciuti della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, vi sono le tabelle di comunicazione tramite le quali strumento la persona indica – adoperando le modalità che la compromissione rende possibili – i simboli contenuti nelle tabelle stesse. Esse vengono costruite valutando un insieme di aspetti simultaneamente, quali, ad esempio, la selezione del vocabolario e gli aspetti fisici e sensoriali della persona con bisogni comunicativi complessi.
I diversi messaggi contenuti nella tabella possono essere rappresentati in modi diversi: oggetti concreti, miniature di oggetti, simboli grafici (fotografie, disegni), lettere o parole.

In Italia la CAA viene impiegata prevalentemente in età evolutiva, mentre nei Paesi di più lunga tradizione viene adottata anche con adulti e anziani.
Con i bambini e le bambine con disabilitò, l’inizio precoce di interventi di CAA può contribuire a prevenire un ulteriore impoverimento comunicativo, simbolico, cognitivo e la comparsa di disturbi del comportamento, altrimenti molto diffusi proprio come strategia di richiesta di attenzioni. Per questo è consigliabile un primo approccio in età prescolare e scolare.
La CAA, quindi, può essere molto utile non solo per le persone con problemi ad esprimersi e comunicare nei canali classici (scritto e orale), ma anche per il mondo della scuola e per l’educazione in generale. In questo senso, come spiega Giorgia Terry Sbernini, educatrice esperta in CAA e nei processi d’apprendimento, «negli ultimi anni si è visto che il metodo simbolico è uno strumento inclusivo per tutto il gruppo classe e non solo per le persone con disabilità. Infatti, la simbologia della CAA è un sistema molto più immediato di quello verbale, per questo utilizzarla in classe permette a tutti di tenere lo stesso passo».
In termini pratici, l’approccio della CAA consente di includere nel contesto classe il minore con disabilità, ma anche l’alunno con difficoltà di apprendimento e memorizzazione, lo studente straniero che deve imparare la lingua e, in generale, chi va un po’ più piano. Più recentemente è stata anche utilizzata per l’ADHD (disturbo da deficit di attenzione e iperattività). «Infatti – spiega ancora Sbernini – la CAA permette un tempo di attenzione più ampio. Grazie all’utilizzo della simbologia, il bambino riesce a mantenere di più la concentrazione».
In conclusione si può dire che gli strumenti utilizzati dalla CAA, il sistema di scrittura in simboli o immagini, ma anche le tabelle di comunicazione, i libri personalizzati e i programmi informatici, possono favorire una didattica più inclusiva per tutto il gruppo classe, anche se in tale àmbito le potenzialità sono in parte ancora da esplorare e la scuola italiana avrebbe senz’altro tantissimo da guadagnarci, in termini di innovazione, efficacia e inclusività. Sarebbe pertanto auspicabile una maggiore formazione dei docenti, superando un approccio che ne limita l’intervento solamente ad alcuni àmbiti specifici.

Pedagogista, donna con disabilità, curatrice del portale “Piccolo Genio.it” e autrice dei libri “Nata Viva” (prima edizione 2011, Società Editrice Dante Alighieri) e “RaccontAbili. Domande e risposte sulla disabilità” (Erickson, 2021).

Nel 2019, Simona Piera Franzino, terapista della neuropsicomotricità, specializzata in CAA e Domenico Massano, pedagogista, educatore e formatore (entrambi animano il blog la sCAAtola… cose curiose sulla Comunicazione Aumentativa Alternativa), hanno presentato sulle nostre pagine la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità in CAA, disponibile a questo link.

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