La persona giusta per questo lavoro

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Trenta contratti di lavoro firmati in un anno grazie alla campagna "The hiring chain", a cominciare da Francesco, 35 anni, receptionist per Ferragamo: «Sono soddisfatto. Non mi hanno solo accolto, mi hanno stimato». Storie che dimostrano non solo che una persona con disabilità può lavorare e lavorare bene ma che rivoluzionano l'approccio: dalla persona con sindrome di Down all'individuo, con le sue competenze e caratteristiche

Francesco Cioppi ha 35 anni, ha fatto l’istituto d’arte, percorso ceramica, ha preso la maturità con 85/100 e da sei mesi è stato assunto come addetto alla reception nell’headquarter di Salvatore Ferragamo a Firenze. «Ho iniziato a lavorare in Ferragamo il 4 ottobre, giorno del mio onomastico. Vengo con l’autobus e la tranvia. Mi trovo bene. Con i miei colleghi ho un rapporto bello, professionale ma sono anche simpatici: ho trovato colleghi ma anche amici. Faccio accoglienza. Accolgo le persone, preparo le sale, porto le bottiglie e lo zucchero, distribuisco la posta interna. È una bella opportunità che ci viene data e anche una soddisfazione. Quando i miei amici mi vedono al lavoro, mi dicono che sono bello. Sono contento di aver trovato persone qui in Ferragamo che mi hanno accolto e che mi hanno stimato», racconta Francesco.
Quello della Salvatore Ferragamo SpA con Francesco è il primo contratto di assunzione firmato in Italia grazie alla campagna “The hiring chain”, lanciata da CoorDown il 21 marzo 2020 per sensibilizzare le aziende e la società sul diritto al lavoro delle persone con disabilità: una campagna che in poco più di un anno ha realizzato oltre 6 milioni di visualizzazioni, conquistato 33 premi e soprattutto portato 70mila persone sulla piattaforma www.hiringchain.org, interessate ad entrare nel merito dell’argomento. Mille le aziende che hanno chiesto informazioni, alcune con in mente già un progetto di inserimento, altre sollecitate all’idea dalla campagna: CoorDown in collaborazione con l’associazione mondiale Down Syndrome International ha messo in contatto utenti e associazioni di tutto il mondo. Solo in Italia sono già trenta le aziende con cui è stata avviata una collaborazione fattiva: in alcuni casi sono partiti dei tirocini, in altri casi ci sono già vere e proprie assunzioni, con altre aziende ancora sono stati firmati dei protocolli d'intesa e gli inserimenti stanno per essere avviati.
 

La catena cantata da Sting nel video, insomma, è partita e la speranza è che, di esempio in esempio, il barbiere assuma Paul perché l’avvocato ha assunto John perché il fornaio ha assunto Simone… e ciascuno ha visto che quella persona il suo lavoro lo sapeva fare.

A portare alla viralità la campagna ha contribuito in maniera determinante LinkedIn, da cui sono arrivate 2,5 milioni di visualizzazioni: «Abbiamo deciso di supportare la Hiring Chain perché è la esemplificazione di come le relazioni siano alla base della creazione di valore, di come ognuno di noi possa farsi ispirare dalle azioni degli altri ed apprendere dal prossimo», dice Francesco Costanzo, Account Director LinkedIn. «All’interno di LinkedIn c’è un team Social Impact la cui missione è di connettere coloro che sono in cerca di lavoro ed hanno barriere di vario tipo per trovarlo, con le risorse ed il network affinchè possano trovare anche loro la giusta opportunità. Anche grazie al coinvolgimento di questo team siamo riusciti nel nostro intento di portare la Hiring Chain quanta più visibilità possibile ed aver dato a degli adulti con sindrome di Down la possibilità di realizzare il loro sogno di lavorativo, di autonomia e di una vita più felice».

«Dopo 9 anni di campagne che avevano cambiato la narrazione sulla disabilità, CoorDown sentiva l’esigenza di fare un passo in più, non bastava più una bella campagna di sensibilizzazione, era necessario creare un impatto concreto sulla vita delle persone. Così abbiamo puntato su una call to action forte e su una rete di alleanze che potessero consentirci di generare un risultato tangibile», dice Antonella Falugiani, Presidente di CoorDown. «L'ultimo anello della catena sono state le aziende che con il loro impegno, la loro risposta alla call to action, hanno generato quel circolo virtuoso che abbiamo auspicato nel film. In occasione della festa dei lavoratori, non possiamo che rinnovare l’invito a stringere la mano a un lavoratore con disabilità offrendogli un’opportunità».

Un successo legato anche alla viralità della campagna, supportata da tanti partner tra cui Linkedin: «Abbiamo deciso di supportare la Hiring Chain perché è la esemplificazione di come le relazioni siano alla base della creazione di valore, di come ognuno di noi possa farsi ispirare dalle azioni degli altri ed apprendere dal prossimo», dice Francesco Costanzo, Account Director LinkedIn. «All’interno di LinkedIn c’è un team Social Impact la cui missione è di connettere coloro che sono in cerca di lavoro ed hanno barriere di vario tipo per trovarlo, con le risorse ed il network affinchè possano trovare anche loro la giusta opportunità. Anche grazie al coinvolgimento di questo team siamo riusciti nel nostro intento di portare la Hiring Chain quanta più visibilità possibile ed aver dato a degli adulti con sindrome di Down la possibilità di realizzare il loro sogno di lavorativo, di autonomia e di una vita più felice».

Oltre le "4F"

«Nemmeno nei nostri sogni più ambizioni avremmo immaginato questi risultati. Mai per esempio avremmo immaginato di essere contattati da un’agenzia di comunicazione, cosa che invece è successa grazie all’eco che la campagna ha avuto per i premi che ha ricevuto. Gli effetti di questa campagna continueranno a lungo, le potenzialità sono enormi», ammette Martina Fuga, responsabile comunicazione di CoorDown. Nelle sue parole traspaiono gli altri due obiettivi della campagna: non solo affermare che una persona con disabilità può lavorare e lavorare bene, ma anche avvicinare più territori, al di fuori delle grandi città (sono quindi un’ottima notizia i protocolli d’intesa firmati con grandi aziende che hanno sedi in diverse città italiane come Esselunga o Share, che potranno offrire opportunità lavorative in diversi territori) e scardinare il pregiudizio per cui una persona con disabilità possa fare solo alcuni lavori.

In ambito anglosassone si parla delle “4F”: cibo, fiori, pulizie, catene di montaggio sono i settori a cui più facilmente si pensa quando si parla di inserimento lavorativo per persone con disabilità intellettiva, ma non è così.

Martina Fuga, responsabile comunicazione di CoorDown

«In ambito anglosassone si parla delle “4F”: cibo, fiori, pulizie, catene di montaggio sono i settori a cui più facilmente si pensa quando si parla di inserimento lavorativo per persone con disabilità intellettiva, ma non è così. L’abbiamo mostrato nel video della campagna e sta succedendo nella realtà, con le assunzioni in Salvatore Ferragamo, nello studio di consulenza Rödl & Partner, nel flagship di Levi’s in centro a Milano, non in magazzino ma a contatto con i clienti. Tutte queste aziende diventano ambassador della possibilità inclusiva, verso altre aziende ma anche all’interno: dove c’è un lavoratore con disabilità si crea un clima inclusivo e spesso i colleghi diventano a loro volta ambassador di una cultura più inclusiva».
«Avevamo due posizioni diverse, che richiedevano competenze diverse. Abbiamo strutturato un processo di recruitment in un confronto continuativo con l’associazione presente sul territorio Trisomia 21. Il matching che è risultato vincente è risultato quello di Francesco per la nostra posizione di receptionist, per cui avevamo individuato come competenze fondamentali quelle dell’orientamento al cliente e al servizio, positività e solarità. Queste competenze sono emerse nei colloqui e con tutte le informazioni che ci ha passato l’associazione, che ha fatto davvero un lavoro fondamentale di accompagnamento e dal primissimo giorno Francesco le ha confermate queste competenze. È stato fondamentale approcciare i colloqui con il mindset di vedere ogni persona come una persona, non come appartenente al cluster “persona con sindrome di Down”: abbiamo cercato di individuare le caratteristiche di ciascuna ragazza e ragazzo che abbiamo incontrato, come avviene in qualsiasi recruitment», spiega Linda Rosellini, del Dipartimento Risorse Umane di Salvatore Ferragamo SpA. Un’altra abitudine che cade, con la logica della persona giusta per un ruolo specifico che sostituisce quella del collocamento obbligatorio.

È stato fondamentale approcciare i colloqui con il mindset di vedere ogni persona come una persona, non come appartenente al cluster “persona con sindrome di Down”: abbiamo cercato di individuare le caratteristiche di ciascuna ragazza e ragazzo che abbiamo incontrato, come avviene in qualsiasi recruitment

Linda Rosellini, del Dipartimento Risorse Umane di Salvatore Ferragamo SpA.

Il diritto di avere doveri

Marco Rasconi, coordinatore della Commissione Servizi alla Persona di Fondazione Cariplo, ha sottolineato come Fondazione Cariplo metta risorse su esperienze in gradi di contaminare e di essere moltiplicative, «e “The hiring chain” da come abbiamo sentito oggi certamente lo è». Ci sono rigidità da parte del mondo esterno, «me lo aspetto», perché non tutti conoscono la disabilità. «Ma il tema è non avere paura: le aziende cosa devono fare? Non aver paura, incontrare il mondo della disabilità e rendersi conto che oggi non è così complicato inserire una persona con disabilità, che spesso anzi è un valore aggiunto - come dimostrano diversi studi economici - e che le associazioni ormai hanno un know how importante e che lo vogliono mettere a disposizione delle aziende», dice Rasconi.

Che chiude rivendicando un diritto per le persone con disabilità: «Il diritto di avere dei doveri, è una cosa che come persona con disabilità impegnata nel sociale sento fortissimo. Noi abbiamo il dovere di partecipare alla crescita della società, come tutti i cittadini. Lo sentivo anche parole di Francesco: io sono una risorsa, io ci voglio essere, voglio dare una mano alla mia comunità, perché si possa crescere tutti, tutti insieme. È una responsabilità che noi persone con disabilità abbiamo, perché oggi grazie a tanti progetti abbiamo più opportunità di dieci o anche solo cinque anni fa. Dobbiamo raccontarci, metterci in gioco e fare capire anche a chi la disabilità non la conosce che questa cosa è possibile».

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