I nemici della legge 104, trent'anni dopo

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Il 18 febbraio 1992, esattamente trent'anni fa, entrava in vigore la “legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti della persona handicappata”. Una legge innovativa, che però ha visto anche importanti distorsioni a cominciare dall'utilizzo scorretto dei permessi. Nel pieno del cantiere per la nuova legge delega, una riflessione con Vincenzo Falabella (Fish) e Roberto Speziale (Anffas)

Il 18 febbraio 1992, un giorno dopo l’avvio di Mani Pulite, in Italia entrava in vigore la legge 104. Sono passati esattamente trent’anni. In questo lungo arco di tempo la “legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti della persona handicappata” è stata la mappa dei diritti, dei permessi, delle agevolazioni fiscali, delle detrazioni per le persone con disabilità e chi le assiste. Fu un passaggio innovativo, che cambiò le cose per le persone con disabilità e le loro famiglie. Una legge che è ancora attuale e che anzi ha bisogno di essere ampliata: è questo il senso della nuova legge delega sulla disabilità, approvata a fine dicembre, che nei prossimi mesi con i suoi decreti attuativi ridisegnerà l’impianto complessivo della normativa del nostro Paese sui vari temi della disabilita nella prospettiva dei cambiamenti culturali, sociali ed economici che si sono verificati negli ultimi trent’anni, a cominciare dal cambio radicale di prospettiva sancito dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Accanto a questo percorso evolutivo, però, va detto che la legge 104 ha avuto e ha tuttora anche dei “nemici”, che mettono a rischio il suo essere baluardo di diritti per le persone con disabilità. Uno su tutti? I “furbetti” della 104: l’aspetto più noto della 104 è infatti quello che riguarda i permessi per assistere un familiare con disabilità e il fatto che ci siano state e ci siano persone che usano in modo strumentale questo permesso, per dedicarsi ad attività che nulla c’entrano con la persona con disabilità e i suoi bisogni, va culturalmente a svantaggio del percorso inclusivo basato sui diritti che il movimento delle persone con disabilità sta da decenni percorrendo. Ecco perché, la cultura dell’inclusione merita una continua attenzione e manutenzione, da parte di tutti. Ne parliamo con Vincenzo Falabella, presidente della Fish e con Roberto Speziale, presidente di Anffas.

Facciamo il punto: qual è stata la portata della legge 104 di cui celebriamo oggi i 30 anni?
Roberto Speziale:
Non c’è dubbio che la legge 104, assieme alla legge 68, alla 328, alla 162 ha segnato in quegli anni una nuova stagione di approccio alla disabilità. Ha dato dignità alla disabilità in Italia, è uno dei capisaldi della nuova civiltà, dei pilastri del nuovo sistema di diritti. Da lì scaturiscono la possibilità di strutturare una vita indipendente, una vita scolastica autenticamente inclusiva. Quindi a distanza di tanti anni va salutata ancora con entusiasmo e riconoscenza per quello che ha prodotto, a 360 gradi.

Vincenzo Falabella: La legge ha segnato una forte innovazione in un tempo buio del paese, ricordiamo che erano i giorni di Mani pulite che non era solo un fenomeno politico ma di ampi pezzi del Paese. È stata innovazione culturale anche per come è nata, con la pressione del movimento associativo, con la partecipazione del movimento e la presenza delle persone con disabilità. Allora c’erano tante organizzazioni territoriali e forse per la prima volta si resero conto che davvero l’unione fa la forza. Era tanto innovativa che diversi altri paesi europei l’hanno attenzionata.

Oggi stiamo vivendo una fase di rinnovamento del quadro legislativo sulla disabilità, con la legge delega: in che direzione?
Vincenzo Falabella:
La delega ripenserà gli interventi normativi sulla disabilità alla luce dell’evoluzione culturale che è avvenuta a livello globale. Nel 1992 c’era ancora la predominanza dell’elemento medico, della salute/malattia mentre oggi è tutt’altro, la disabilità è interazione con l’ambiente esterno, viene meno l’aspetto medico-centrico, si vede più la persona e tutto è incentrato sulla centralità della persona. Una volta si puntava sull’assistenza, oggi sulle pari opportunità, sull’inclusione, sul riconoscimento dei diritti. I bisogni rimangono gli stessi, differenti da persona a persona: la legge quadro di oggi, rispetto alla 104, deve riuscire a costruire sistemi duttili rispetto ai reali bisogni soggettivi dei singoli cittadini con disabilità. I decreti arriveranno entro la primavera del 2024, c’è un gruppo politico e uno tecnico che stanno già lavorando, noi come FISH monitoreremo il tutto e cercheremo di dare il contributo necessario affinché i decreti abbiano un concreto impatto sulla vita dei cittadini con disabilità e le loro famiglie. Dopodiché questa legge delega è una grande opportunità per tutti, non solo per le persone con disabilità ma per tutto il paese: ci sarà un approccio diverso, si cercheranno di superare pregiudizi e stigmi, si guarderà alla persona con disabilità da un punto di vista dievrso. La delega e i decreti dovranno impattare sulla cultura del paese nella sua interezza.

Roberto Speziale: La delega andrà a intervenire su molti aspetti già presenti nella 104 ma in termini migliorativi. Per esempio se la legge 104 potesse parlare, sull’inclusione scolastica griderebbe il suo dolore perché l’inclusione scolastica è ancora impantanata. È un percorso che viene portato avanti in modo approssimativo, sembra quasi che lo si consideri sempre come un’occasione di spesa più che nella prospettica di aumentare la qualità del sistema: si immettono più insegnanti, si fanno corsi, ma la qualità dell’inclusione non migliora, anzi. Perché? Perché manca un progetto di visione, di cambiamento.

Ciò che tutti gli italiani collegano alla “104” sono i permessi dal lavoro per assistere un familiare con disabilità o non autosufficiente. In questo campo però è innegabile che si sono delle distorsioni, con persone che nei giorni di permesso effettivamente fanno tutt’altro. Quali sono i “nemici” della 104?
Vincenzo Falabella:
Intanto è riduttivo concentrarsi solo sui permessi lavorativi perché la 104 è tantissime altre cose. È vero, su questo c’è stato un abuso improprio e a pagarne le conseguenze sono sempre le persone con disabilità che non beneficiano della presenza e dell’assistenza dei propri familiari. Se vogliamo usare l’espressione di “nemici” della 104 partirei dai territori, dagli stakeholder che non riescono ancora a capire il valore di questa norma: il mondo della scuola, del lavoro, gli enti locali… tutti quelli che dovrebbero attuarla. Sono gli stessi errori di valutazione di cui si è parlato nei mesi scorsi per la 328. Pensiamo alla procedura per il riconoscimento dello stato di disabilità, secondo l’articolo 3 comma 3 della legge 104 che avrebbe potuto avere una maggior fluidità nel percorso e invece troppe volte ci sono stati rimbalzi di responsabilità tra soggetti. Non c’è stata mai un’armonizzazione delle procedure.

Roberto Speziale: Se vogliamo – come vogliamo – ampliare i diritti delle persone con disabilità è chiaro che bisogna contrastare tutto ciò che crea comunità nemiche delle persone con disabilità. Quindi per il movimento associativo è un imperativo categorico prendere le distanze da chiunque usi i diritti in modo strumentale. Ci sono state delle distorsioni e in alcuni casi, forse molti, la legge 104 è stata vista impropriamente come una possibilità di godere di un permesso per starsene a casa o per andare in vacanza. Quanti? Non so, ma se ci sono 3 milioni di persone con disabilità e non autosufficienza che hanno la 104 con gravità e sappiamo che in ogni contesto si hanno effetti distorsivi in circa il 30% dei casi… sono numeri. È vero pure che non c’è un efficace sistema di controllo. Questi sono dei veri nemici della legge 104 e delle persone con disabilità perché usando in modo inopportuno strumenti normativi che nascono per dare sostegno alle persone con disabilità danneggiano le persone con disabilità.

Perché danneggiano?
Roberto Speziale:
È presto detto, il soggetto finale del diritto non è il lavoratore che usufruisce del permesso, ma la persona con disabilità che beneficia del fatto che un familiare possa occuparsi di lei. I permessi lavorativi sono fondamentali perché consentono a moltissime persone di essere presenti accanto al proprio familiare senza dover rinunciare al lavoro. Oltre al fatto che questo uso improprio crea nella percezione pubblica un atteggiamento negativo nei confronti della disabilità: molti datori lavoro di lavoro che hanno dipendenti di cui si sa che usano in modo strumentale i permessi dovranno sempre riconoscerli, ma lo faranno con un atteggiamento negativo verso la disabilità. Lo stesso fra colleghi: se tu sai che il tuo collega è in permesso per dedicarsi a un familiare disabile hai un atteggiamento solidale, se invece vedi che tu sei al lavoro e lui sta al bar con la 104, altro che solidale. Sembra di poco conto, ma nella prospettiva di costruire o meno comunità inclusive è tanto. Uno degli sforzi che bisognerà fare nei provvedimenti attuativi della legge delega - partendo da questa consapevolezza – è quello di rinforzare le modalità per evitare che si ripetano effetti distorsivi e salvare a piene mani l’impianto della 104 che era innovativo nel 1992 ma che ancora oggi, attraverso una adeguata manutenzione e nel coordinamento con le altre grandi norme può contribuire a migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità e a rafforzare i loro diritti.

Nemici sono anche il taglio del reddito di cittadinanza, il computo nell’Isee dell’aumento della pensione di invalidità nell’Isee, il taglio dell’assegno di invalidità civile a chi lavora… solo per citare alcuni “incidenti” degli ultimi mesi?
Vincenzo Falabella: Sono temi collegati alla 104 perché questa garantisce il riconoscimento di alcuni interventi anche economici… È vero che c’è una tendenza spasmodica a toccare le fasce più vulnerabili, cosa che la dice lunga rispetto al cambiamento che ancora c’è da fare e che cerchiamo di sollecitare. Da un lato vediamo da parte dei ministeri competenti una accondiscendenza al cambiamento culturale, dall’altra però vediamo anche forze conservatrici che non permettono il processo di necessaria innovazione.

Falabella, lei ha detto che «la cultura dell’inclusione merita una continua attenzione e manutenzione, non solo da parte degli interessati e degli esperti, ma di tutti»: perché?
Vincenzo Falabella:
Serve una manutenzione e una sollecitazione affinché si smetta di intervenire a compartimenti stagni e nell’emergenzialità, senza una programmazione articolata e puntuale rispetto ai bisogni. Ad esempio guardando alla scuola senza pensare che la scuola è un ponte per il lavoro o come se la vita delle persone con disabilità andasse per risposte standard dagli 0 ai 18 anni e poi dai 18 ai 65 come adulti e infine dopo i 65 come anziani. Bisogna riuscire fare – mia auguro che la delega lo faccia – ad armonizzare il progetto di vita della persona con disabilità, che non deve essere legato a spartiacque anagrafici ma deve essere armonico rispetto alla crescita della persona, accompagnandola.

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