La Dgr n. 5415 del 25 ottobre 2021 ha approvato il Piano operativo regionale autismo. Si tratta di un documento programmatico della Giunta regionale, frutto di un percorso di confronto e di lavoro che ha visto coinvolti esponenti della Dg Welfare e della Dg Famiglia, Politiche sociali e disabilità, di diverse ATS, ASST e IRCCS, di ANCI Lombardia, delle Fondazioni Sacra Famiglia e Sospiro e del Comitato Uniti per l’Autismo.

L’obiettivo è quello di definire, a partire dalla situazione esistente, i principali interventi regionali in favore delle persone con autismo del prossimo futuro. Questo Piano non ha una scadenza definita ma, all’interno delle tabelle esplicative, il programma degli interventi riguarda un arco temporale compreso tra i 6 e i 24 mesi, poco oltre quindi il termine della legislatura. Gli obiettivi generali, riguardano la garanzia della presa in carico e della sua continuità nel tempo, una maggiore omogeneità e integrazione degli interventi ed un sostegno a quello che potrebbe essere definito l’empowerment delle persone e dei loro familiari (“migliorare l’attività di comunicazione per l’esercizio dei propri diritti”).

Luci ed ombre

La prima riflessione riguarda la necessità o meno di un documento programmatico rivolto ad un gruppo di persone identificate da una “diagnosi”: una scelta che appare in controtendenza rispetto all’approccio alla disabilita basato sui diritti umani o bio psico sociale. L’autismo è una realtà già presa in considerazione all’interno di normative di carattere nazionale e regionale e deriva, sostanzialmente, dalla complessità di questa specifica condizione, collegata anche ad un ancora basso livello di conoscenza scientifica sul fenomeno. La condizione di “autismo”, infatti viene sostanzialmente solo descritta ma le sue cause non sono ancora comprese e quindi spiegate. In ogni caso, spesso nel testo del “Piano”, come nella normativa regionale, si fa riferimento alle persone con autismo e con disabilità complesse: persone quindi che, pur avendo una diversa diagnosi, condividono con le persone con autismo, caratteristiche, bisogni e rischi di discriminazione.

Il “Piano” è un documento sobrio, denso di contenuti e di impegni che Regione si assume, certamente in questo scorcio di fine legislatura e, in generale, per i prossimi due anni. Impegni concreti, evidenziati anche dall’individuazione dell’ente attuatore e dai tempi di implementazione.

Pur all’interno di un contesto ancora profondamente sanitario, l’approccio alle politiche di welfare per la disabilità è sostanzialmente sovrapponibile, almeno nelle intenzioni, a quanto prospettato in diversi atti normativi che intendono promuovere il diritto alla vita indipendente di tutte le persone con disabilità, non ultimo la recente Legge Delega al Governo in materia di disabilità. Vediamo quindi affermata la centralità del progetto di vita della persona con disabilità, elaborato a partire dai desideri e preferenze della persona e alla cui realizzazione devono tendere e contribuire le azioni di intervento di carattere terapeutico, abilitativo, educativo e assistenziale.

Vengono messe in evidenza i problemi di frammentazione del complessivo sistema dei servizi e la carenza di risorse di personale e anche organizzative e gestionali, soprattutto – ma non solo – per la presa in carico delle persone adulte.

La questione della Presa in carico acquista una dimensione centrale, sancendo (almeno nelle dichiarazioni) il definitivo superamento dell’antitesi tra “libertà di scelta” e “presa in carico” che ha contraddistinto la nascita e l’implementazione del cosiddetto modello di welfare lombardo.

In questo quadro decisamente positivo non mancano però alcune note critiche, soprattutto nel passaggio dalle dichiarazioni agli impegni precisi. Il pallino rimane in mano al sistema sociosanitario, cioè di diretta emanazione e/o controllo regionale: oltre alla stessa Regione, ATS, ASST e IRCSS. Il ruolo di Comuni e Ambiti territoriali e degli Enti di Terzo Settore, rimane marginale quando non del tutto assente. Allo stesso modo, non si vede, neanche in controluce, il possibile e necessario ruolo del mondo associativo nella funzione di accompagnamento e garanzia del percorso di elaborazione e redazione del progetto di vita della persona.

Inoltre, da un lato si fa ampio riferimento ai necessari interventi per l’abilitazione del contesto d vita ma, dall’altro, gli interventi effettivamente previsti sembrano riguardare principalmente la relazione tra servizi, gli operatori del settore, le persone con autismo e i loro familiari, senza particolari interventi volti rendere inclusivi gli ambienti di vita ordinari delle persone.

Quello che appare come l’aspetto maggiormente critico è che di fronte a una situazione contrassegnata da diverse carenze non si faccia un riferimento esplicito alla necessità di incrementare le risorse di personale e quindi economiche da destinare al comparto rispetto alla situazione attuale. Senza un incremento del personale in servizio nelle UONPIA, senza l’effettiva attivazione in tutte le ASST di un servizio dedicato alle persone con disabilità adulte, senza la destinazione di personale alla funzione di case e care management, gran parte delle previsioni del Piano rischiano di rimanere sulla carta.  Dubbi e preoccupazioni che solo la reale implementazione di quanto previsto nel “Piano” potranno fugare.

Il panorama: destinatari e sistema di offerta

Il “Piano” prende le mosse dalla descrizione della situazione attuale. La scarsità di conoscenza sul fenomeno dell’autismo si riverbera anche, ovviamente sul piano epidemiologico (capitolo 1) dove si riscontra la difficoltà a “contare” le persone con autismo, con differenze anche molto significative da paese a paese, passando dallo 0,25% dei bambini della Francia allo 1,35% dell’Italia. Quello che sappiamo è che, anche in Italia e in particolare in Lombardia, sta migliorando la capacità del sistema sociosanitario di effettuare diagnosi precoci, mentre permane una quota significativa di persone adulte il cui autismo non è riconosciuto né quindi diagnosticato, soprattutto nei casi in cui i sintomi siano lievi: appare cresciuta nel tempo (pur con notevoli disomogeneità territoriali) la capacità di riconoscere il cosiddetto “autismo ad alto funzionamento”. Quello che è certo è che tutti i dati sono in crescita. Il Piano indica una serie di azioni per migliorare e rendere più omogenea la qualità dei dati e per creare un sistema informativo dedicato, almeno per i servizi di Neuropsichiatria infantile, per arrivare alla redazione e pubblicazione di un report annuale sul fenomeno.

Le previsioni di innovazione presentate nel documento si inseriscono in un ampio sistema di servizi e prestazioni esistente e – almeno nell’area minori – consolidato.
Per quanto riguarda l’età evolutiva i servizi di riferimento sono, naturalmente le 31 UONPIA (Unità Operativa di Neuropsichiatria Psicologia Infanzia e Adolescenza) presenti capillarmente in tutta la Regione: in 17 tra queste sono presenti strutture specialistiche dedicate ai bambini e ragazzi con autismo. A fianco della UONPIA si trovano i servizi di riabilitazione accreditati gestiti da enti privati, dove in almeno 12 casi è presente una struttura specialistica. Oltre alla struttura territoriale, nel territorio regionale sono presenti e attivi, reparti di degenza, Day Hospital, servizi residenziali e centri diurni di carattere sanitario e sociosanitario. I minori con autismo possono essere anche beneficiari delle misure FNA (B1 e B2) e accedere a servizi socioassistenziali diurni e agli interventi di carattere domiciliare. All’interno di questa rete di servizi, alcuni – nell’area sanitaria e sociosanitaria – sono esclusivamente o prevalentemente dedicati ai minori con autismo. Tra questi si segnala il centro pivot del Network italiano per il riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro autistico presso IRCCS dell’Associazione La Nostra Famiglia di Bosisio Parini.

Il panorama muta radicalmente quando i ragazzi diventano maggiorenni. Manca, per gli adulti, un riferimento univoco, come quello rappresentato dalle UONPIA per i minori. I giovani e gli adulti con autismo possono essere presi in carico tanto dai servizi sanitari dell’area della psichiatria (CPS, SPDC, Day Hospital, Residenze, Centri diurni) che da quelli sociosanitari tipici dell’area sociosanitaria (RSD, CSS, CDD…) che, infine, dalle misure di carattere sociale e socioassistenziale gestite da Regione (FNA B1) o dai Comuni (CAD, CSE, SFA, Assistenza domiciliare, …): solo pochi fra questi sono dedicati in modo prevalente o esclusivo alle persone con autismo.

Manca in questa presentazione del sistema dell’offerta, come la situazione peculiare delle persone con autismo metta in evidenza le differenze e i problemi del modello di welfare regionale. Il modello regionale per la Salute mentale (di cui fanno parte UONPIA e CPS) è caratterizzato dal sistema di presa in carico pubblico e sanitario, governato da figure quali i Neuropsichiatri e gli Psichiatri. Al contrario il sistema sociosanitario, che prevale nell’ambito della “disabilità”, ha una forte connotazione “liberista”, centrata ancora sull’offerta di servizi e non sulla presa in carico e che, mettendo sullo stesso piano gli interventi pubblici con quelli privati, ha visto crescere l’importanza e la competenza degli enti di terzo settore. In questa situazione le persone con autismo e i loro familiari non hanno la garanzia di incontrare nel corso dell’esistenza un punto di riferimento autorevole e stabile nel tempo a cui rivolgersi per avere i sostegni di cui avrebbero bisogno e quindi diritto.

Aspetti chiave

La diagnosi precoce

Il primo punto a cui il Piano pone attenzione riguarda il tema della diagnosi precoce, che dovrebbe situarsi intorno ai 18 – 24 mesi di vita del bambino: nonostante evidenti passi in avanti compiuti negli ultimi anni, la situazione non è ancora omogenea sia nell’individuazione delle situazioni a rischio che per il completamento del percorso diagnostico. Forti criticità e disomogeneità si segnalano anche negli interventi di accompagnamento delle famiglie al momento della diagnosi. Il Piano regionale prevede che le ATS estendano le attività di screening, attivino le azioni di formazione e supporto, in particolari verso i pediatri, mentre ogni ASST dovrà attivare (entro tre mesi) un Nucleo Funzionale Autismo a cui affidare le azioni necessarie per sostenere i percorsi diagnostici e di accompagnamento delle famiglie.

Il modello di presa in carico

La questione centrale, attorno a cui ruota la dimensione innovativa del Piano è certamente quella definita come “Presa in carico” che viene affrontata in quattro diversi capitoli: uno di premessa e poi via via con uno dedicato alla presa in carico in età evolutiva, nella fase di transizione e uno in età adulta.

La Presa in carico viene definita come un processo in cui, a fronte di una domanda viene progettato un percorso di cura e assistenza rivolto alla persona, al suo nucleo familiare e al suo contesto di vita, in modo continuativo e con il massimo coinvolgimento della persona stessa e della sua famiglia, con un diretto riferimento a quanto previsto e indicato dall’art. 14 della L. 328/00 ma anche da diversi atti e norme regionali, tanto da indicare la presa in carico come un diritto. Nella ricognizione di carattere generale viene anche citata l’indagine, risalente al 2018, condotta da LEDHA insieme a Uniti per l’Autismo, che metteva in evidenza l’assenza, all’interno del sistema sociosanitario, di punti di riferimento per le persone adulte con autismo e disabilità complessa che potessero garantire la continuità della presa in carico esercitata dalla UONPIA per i minori. Vengono individuati come obiettivi generali (poi sviluppati in modo specifico) la diffusione di una cultura della presa in carico e la necessità di riuscire a garantire livelli omogenei di presa in carico in tutta la regione. Si fa riferimento anche al Progetto di vita (con un’attenzione all’impiego di strumenti di valutazione delle preferenze) e allo sviluppo della funzione del case management così come al consolidamento dei Servizi per la disabilità in ogni ASST (con un riferimento anche alla presenza di un DAMA[1]. Infine ma non certo per ultimo si considera come necessario il coinvolgimento della famiglia come parte integrante della rete ma specificando che il coinvolgimento della persona con autismo nelle decisioni “consentirà di evitare che la famiglia si sostituisca alla persona per gli ambiti nei quali sarà importate fare emergere e supportare il diritto di scelta del soggetto…”.

In età evolutiva

Il “Piano” entra con un alto livello di dettaglio sulla situazione e sulle prospettive dell’area della Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza mentre le parti dedicate all’area dei giovani e degli adulti appaiono meno sviluppate. Nella parte descrittiva ritroviamo approfonditi i temi della presa in carico continua, della progettazione integrata, della valutazione multidimensionale e dell’attenzione ai contesti di vita, dove in alcuni passaggio non è chiaro quale sia il piano della realtà attuale e quello della realtà auspicata. Sono molte le criticità che vengono messe in evidenza: disomogeneità territoriali, poca flessibilità, frammentazione, carenza di interventi preventivi dei disturbi della comunicazione e del comportamento, poca attenzione ai problemi di salute fisica, accompagnamento non adeguato delle famiglie, utilizzo ancora parziale della telemedicina e della teleriabilitazione. Appare in elenco anche la strutturale carenza di personale delle Uonpia, sia sul fronte quantitativo (a partire da Neuropsichiatri e Psicologi) che su quello qualitativo (con la mancanza di Educatori professionali, Terapisti della riabilitazione, Assistenti sociali, …) ma senza la necessaria enfasi e attenzione.

Le indicazioni operative riguardano: la strutturazione di una equipe specialistica in ogni servizio di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza possibilmente integrata con i servizi sociali territoriali; lo sviluppo – sempre in ogni ASST – di una rete per la diagnosi e per le problematiche mediche; la definizione di percorsi diagnostici e abilitativi omogenei; lo sviluppo di interventi “abilitanti” il bambino o il ragazzo ma anche i suoi familiari e il suo contesto di vita (a partire dalla scuola, ma non solo…); l’accrescimento delle competenze della rete territoriali; il consolidamento delle funzioni di case e care management; l’implementazione di una valutazione realmente multidimensionale e “multiassiale” (tenendo conto dei diversi punti di vista sulla realtà); l’utilizzo della telemedicina.

Si tratta nel complesso di buoni e, in alcuni casi, ottimi obiettivi. Colpisce, nella trasposizione nella tabella riassuntiva delle azioni da compiere, il venire meno del compito della Regione di dover incrementare l’organico delle UONPIA e anche il fatto che il principale ente attuatore risulta essere l’ATS e, in un caso, la Regione stessa. Le azioni che saranno realmente messe in campo riguardano la conoscenza della rete e la definizione di procedure e percorsi di cura e di interventi. I Comuni e gli Ambiti hanno un ruolo marginale così come sembrerebbe venir meno la centralità del progetto di vita e il lavoro sui contesti, a cui nel testo si faceva spesso riferimento.

Durante la transizione dall’età evolutiva all’età adulta

Viene messa in rilievo la delicata fase della “transizione dall’età evolutiva all’età adulta”, uno dei momenti maggiormente critici nella vita di tutte le persone con disabilità. E’ una fase in cui i ragazzi rischiano di uscire, oltre che dalla scuola, anche dai “radar” della rete dei servizi sociali e sanitari territoriali. Il “Piano” mette in evidenza, al contrario, la necessità di garantire la continuità dei sostegni e un sempre maggior orientamento al miglioramento della qualità della vita, alla crescita umana “significativa e soddisfacente” e alle prospettive di inclusione sociale e al riconoscimento delle pari opportunità e, quindi, al fatto che gli interventi debbano essere orientati non solo al sostegno della persona ma anche a quello dei suoi contesti di vita più significativi. La distanza con la realtà appare notevole. Il Piano prevede interventi di carattere formativo per gli operatori dei servizi sociali, delle scuole ma anche dei servizi sociosanitari e sanitari, attività di sostegno e informativi per i genitori dei ragazzi con autismo di età compresa tra i 12 e i 14 anni, la costituzione – in ogni ASST – di una equipe funzionale di transizione, la sperimentazione di nuclei dedicati all’accoglienza di adolescenti con autismo e anche maggiore flessibilità complessiva dei servizi per adulti con disabilità nella eventualità della presa in carico di minori con disabilità.

Le questioni poste all’attenzione pubblica sono rilevanti ed è importante e significativo che il tema della “transizione” verso la vita adulta siano affrontate in modo sistematico. Ancora una volta non si può non notare come nella trasposizione nella tabella riassuntiva il ruolo di attore, responsabile degli interventi, venga affidato al sistema sociosanitario, mentre risulta assente o implicito quello dei Comuni. Analogamente vediamo fare riferimenti a interventi di “manutenzione” della rete (e quindi diretti agli operatori) e di sostegno dei ragazzi e dei loro familiari mentre non troviamo traccia di azioni finalizzate a rendere più competente e inclusivo il contesto scolastico e sociale.

In età adulta

Quasi a prendere atto dell’assenza di interventi diffusi e ordinari rivolti alle persone adulte con disabilità complessa e autismo, il capitolo dedicato alla presa in carico in età adulta viene aperto con la descrizione di “Best practice e progetti specifici”, tra i quali si fa riferimento alle esperienze di Cascina Rossago, Sospiro, Asst Pavia e quella Santi Paolo e Carlo di Milano e infine al DAMA. Non si può non notare come ben tre di questi progetti riguardino l’area della residenzialità di carattere sociosanitario. Gli unici interventi ordinari fra quelli descritti sono quelli riferibili alla Dg Famiglia, solidarietà sociale e disabilità nell’ambito dell’implementazione della misura B1 del FNA e della Legge 112. Il Piano mette ancora più in evidenza la necessità che il sistema dei servizi dovrebbe intervenire “soprattutto per aiutare le persone a rendere più soddisfacente la propria vita, indipendentemente dalle condizioni psico-fisiche di partenze, dal contesto di vita e dal giudizio prognostico”. In questo capitolo il Piano oscilla tra affermazioni molto avanzate e di carattere radicale (ad esempio nel passaggio in cui si ritiene fondamentale “la valutazione dei domini di qualità della vita per la definizione di un progetto coerente con il suo benessere, le sue preferenze ed aspettative”) ed altre ancora molto schiacciate sulla realtà odierna, quando ad esempio affronta il tema della residenzialità.

Si fa, di nuovo riferimento alla necessaria definizione della funzione del Case manager e anche al tema del lavoro: e in effetti le recenti linee di indirizzo emanate dalla DG Lavoro e Formazione (Dgr n. 5579 del 23 novembre 2021) prevedono specifici interventi dedicato all’inclusione lavorative delle persone con autismo.

L’elenco delle criticità ha sempre a che fare con la parola “carenza”: sottostima diagnostica, competenze insufficienti, mancato riconoscimento dei problemi di salute fisica, frammentazione degli interventi, poche unità di offerta adeguate e/o dedicate, non condivisione di un modello di Progetto di vita, incremento delle emergenze comportamentali, limitati sostegni all’inclusione lavorativa, interventi e sostegno standardizzati, non accompagnamento delle famiglie.

Di conseguenza le proposte di intervento hanno a che fare con la parola “incrementare” e riguardano: gli aspetti “diagnostici” anche nell’età adulta, la formazione di tutti i professionisti che lavorano per e con gli adulti con autismo, la previsione del case manager, la definizione di un modello di “PDTA” (Percorsi diagnostico terapeutico assistenziale) e anche di un “Progetto di vita” condiviso fra tutte le parti, l’attivazione in ogni ASST/IRCCS di una equipe integrate composta dagli operatori di diverse Unità operative coinvolte a partire dal futuro Servizio Disabilità, la gestione delle situazione di emergenze comportamentali, l’attivazione di percorsi specifici di inclusione lavorativa, il supporto alle famiglie e all’individuazione di strumenti di valutazione dei bisogni di sostegno.

La trasposizione degli impegni nella tabella segue con fedeltà quanto inserito nel testo. Ancora una volta l’ente attuatore è sempre inserito nell’ambito sanitario e sociosanitario e il ruolo dei Comuni e delle realtà sociali in genere appare marginale. Come negli altri passaggi non si fa riferimento al necessario incremento delle risorse, in termini di personale e quindi anche economici, per fare fronte alle carenze di tipo organizzativo e gestionale offerte dall’attuale sistema di presa in carico.

Impatto della pandemia e progetti sperimentali

I successivi capitoli sono dedicati all’impatto della pandemia e alla descrizione degli interventi rivolti in specifico alle persone con autismo e disabilità complessa e ai progetti sperimentali attuati e ancora in atto in diversi territori. Per la loro caratteristica descrittiva, sono certo di interesse ma non rilevanti ai fini della programmazione degli interventi futuri, già ampiamente descritti nei capitoli precedenti.