La fase che il nostro Paese e la nostra Regione stanno vivendo ha assunto, anche sotto la spinta drammatica della pandemia, una decisa fisionomia (al momento più dichiarata che agita) di un ampio e profondo cambiamento.
Nello specifico delle politiche rivolte alla disabilità molte sono le aspettative rispetto alla capacità del Sistema Paese (incluso il Terzo Settore) di interpretare il PNRR in chiave trasversale per affrontare molte delle criticità strutturali (anzi, croniche) che contribuiscono a frenare il percorso di indipendenza, autonomia e parità di opportunità delle persone con disabilità. In particolare, anche in relazione alla programmazione sociale (Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023) e sociosanitaria (a partire dalla riforma e dal piano nazionale per la non autosufficienza), l’attenzione del movimento delle persone con disabilità è oggi concentrata sulla definizione del testo della Legge Delega sulla disabilità (che il calendario attuativo del PNRR prevede sia presentata entro la fine dell’anno in corso) e sui due passaggi ritenuti fondamentali per imprimere una decisa accelerazione verso le mete indicate dalla Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità:

  1. l’introduzione nel nostro ordinamento di una definizione di disabilità coerente con la Convezione ONU e la conseguente revisione dell’attuale (antico e inadatto) sistema di accertamento e certificazione della condizione di disabilità;
  2. la centralità strategica del progetto personale finalizzato a promuovere e realizzare l’inclusione della persona, ampliando fin dove possibile la possibilità di sperimentare e vivere in modo indipendente, includendo nel processo progettuale anche l’allocazione delle risorse che deve risultare coerente con le mete progettuali.

Il cambiamento è realizzabile? A quali condizioni?

I due aspetti poco sopra menzionati per essere concretamente efficaci, devono essere dotati di un “potere” effettivo in termini di capacità di imprimere il cambiamento. Uno scenario che, per quanto sia possibile oggi comprendere a pieno, credo si possa almeno in parte realizzare, tenuto conto di quanto già sin qui avviato – mi riferisco, per esempio, al rafforzamento dei servizi sociali comunali per raggiungere lo standard 1 A.S/5.000 abitanti – e a quanto previsto dal piano sociale nazionale 2021-2023 che introduce ulteriori livelli essenziali sociali oltre a quelli già introdotti negli ultimi anni, oltre al già citato PNRR in materia di infrastrutture sociali. Tornando al “potere” che ritengo necessario fornire ai due elementi sopra citati mi auguro quindi che:

  • si creino le condizioni istituzionali, organizzative e professionali/formative affinchè i territori sappiano interpretare correttamente il cambio di paradigma definito dalla Convenzione ONU e sappiano quindi accertare, certificare, progettare e implementare in modo diverso da oggi;
  • si classifichi il progetto personale (che auspico possa aggiungere anche il termine “partecipato” per chiarire sin dal titolo che il processo deve favorire e promuovere il ruolo attivo della persona con disabilità e/o chi la rappresenta) e i relativi allegati (valutazione, budget di progetto, contratto di progetto, case manager, valutazione degli esiti) come facente parte dei livelli essenziali delle prestazioni al fine di garantirne l’accesso e l’attuazione, favorendo così l’implementazione del percorso  “nel durante per il dopo di no

E Regione Lombardia? La costituzione di un Fondo Unico per la disabilità è un obiettivo più volte enunciato – anche in occasione della recente intervista all’Assessore Locatelli. Secondo il Vostro osservatorio è una priorità?

In un contesto di riforma nazionale così delineato è lecito e necessario collocare anche le iniziative di riforma di Regione Lombardia del sistema sociosanitario (a partire dalla revisione della L. 33/2009 e s.m.i rispetto alla quale il Terzo Settore regionale ha fatto pervenire i propri emendamenti sul testo elaborato dalla Giunta Regionale – DGR 5068/2021) e alcune importanti azioni di riordino e rilancio della programmazione regionale (faccio riferimento alla DGR 4508/2021 che annunciava la revisione dei requisiti di accreditamento delle U.d.O. sociosanitarie, i piani regionali autismo, salute mentale e disabilità, ecc.).

Rispetto al Fondo Unico Disabilità concordo quindi con quanto già espresso in un recente contributo di Massimiliano Malè che la priorità non è il Fondo, quanto la ristrutturazione e la ridefinizione del processo di presa in carico e la definizione ed erogazione dei sostegni introducendo nel processo di progettazione personale partecipata gli elementi della valutazione multidimensionale (di fatto già introdotta nel sistema regionale con i diversi provvedimenti legati ai diversi fondi oggi attivi – FNA e L. 112 in primo luogo), del budget di progetto, del case manager e, aggiungo, del contratto di progetto e della valutazione degli esiti.
Sono passaggi a mio avviso ancora da definire e precisare a livello regionale che non possono affermarsi e svilupparsi solo in base alle risorse dei territori, pur essendo consapevole delle capacità innovative che dai territori provengono.

Passaggi che devono essere definiti e precisati dal legislatore regionale… può fare qualche esempio?

Certamente:

  • fare in modo che il progetto personale partecipato (parliamo, in altri termini, del progetto globale che riguarda le mete esistenziali e materiali della persona con disabilità che non può in alcun modo essere confuso/sovrapposto a nessuno dei progetti specifici connessi alla fruizione di un servizio/attività/prestazione) diventi prassi significa ragionare in termini di quali infrastrutture sociali in cui incardinare il compito della progettazione – partecipata – ed occorre quindi chiedersi quali nuove competenze debbano avere gli operatori incaricati di tali compiti e di quali strumentazioni debbano disporre (p.e. la digitalizzazione del processo in tutti i suoi sviluppi);
  • definire la funzione del case manager del progetto personale della persona con disabilità è cosa diversa dalla funzione sin qui descritta e in parte sperimentata nei percorsi di cura e assistenza della persona in condizione di cronicità, perché diverso è il paradigma che deve informare la definizione ed erogazione dei sostegni (tutela dei diritti umani) e diversi devono essere forse i “poteri” di chi rappresenta il punto di riferimento per vigilare sul corretto svolgimento e adeguatezza del progetto personale (senza con questo escludere, ovviamente, che in tutti in casi in cui sia possibile il case manager potrebbe essere la stessa persona con disabilità);
  • definire nel concreto la costruzione del budget di progetto non significa un mero assemblaggio delle risorse esistenti, ma significa compiere un esercizio molto più complesso (a mio avviso ancora in buona parte inesplorato) che consenta, attraverso massicce dosi di flessibilità (altro aspetto delicato che non può essere lasciato esclusivamente alla capacità gestionale dei territori) di scomporre e ricomporre le risorse in relazione alle mete progettuali (mentre oggi, se pensiamo alle risorse rappresentate dai servizi alla persona, il dato caratteristico rimane, anche dopo la DGR 3183/2020, una sostanziale rigidità di impiego e rendicontazione);
  • definire, sempre nell’ambito del budget di progetto, il nodo dell’impiego delle risorse personali, un terreno di fatto ancora ricco di controversie e contenziosi e che, ancora una volta, se lo vogliamo affrontare in chiave CRPD non può essere affrontato se non in termini di rispetto di quanto indicato nell’art. 3 della Convenzione laddove si parla di indipendenza della persona con disabilità, che passa, indubbiamente, anche attraverso la condizione economica della persona, il che significa che tali risorse non possono essere solo o prevalentemente utilizzate per il pagamento dei sostegni di cui necessita;
  • formalizzare, al termine della progettazione e della definizione del piano individuale dei sostegni, le responsabilità attribuite a ciascuno dei soggetti per l’implementazione del progetto (siano essi soggetti pubblici, privati o dei contesti comunitari) significa definire un vero e proprio schema contrattuale in modo che quanto definito e concordato nel progetto non solo sia chiaramente esposto, ma divenga “proprietà” della persona con disabilità che lo può utilizzare anche in sede di giudizio, in caso di inadempienze.

Qual è il primo passo per giungere alla meta?

La meta del Fondo Unico Disabilità è sì da considerare una meta di sistema che può certamente favorire la “sconfitta” della frammentazione, ma che di per sé, senza tutti gli altri elementi qui richiamati, rischia di registrare scarsi concreti effetti in termini di cambiamento.
In tal senso, come sempre, la cosa più “semplice” da fare è sempre una sola: riunirsi e iniziare a ragionare, per poi decidere come procedere, certamente con gradualità, ma avendo condiviso l’intero percorso, le sue mete, le sue tappe. In altri termini: co-programmazione, come previsto dalla Legge, e come ANFFAS chiede a Regione Lombardia di avviare.