Il peso delle parole

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Ancora una volta un esponente politico ha usato il termine "mongolo" per insultare un avversario. Nonostante anni di campagne di sensibilizzazione le scusa sono sempre le stesse

“Una leggerezza. Una parola buttata lì senza alcun riferimento”.
“Dispiace che qualcuno si senta toccato e ferito”.
“Termine inopportuno che va inserito nel contesto di una chat privata in cui si scrive e si commenta velocemente”.

Mongolo.
La parola “buttata lì” è (ancora una volta) mongolo.

Succede (di nuovo) nel dibattito politico. Questa volta a Voghera, comune in provincia di Pavia, dove la sindaca e due assessori, riferendosi a una consigliera di opposizione hanno usato (ancora una volta) il termine “mongolo” come insulto. Una conversazione che si è svolta all’interno di una chat di gruppo su WhatsApp.

E ogni volta che questo accade le scuse che vengono accampate sono (quasi sempre) le stesse.
Chiedo scusa, è stata una leggerezza.
Chiedo scusa, mi è scappato.
Chiedo scusa, ho parlato senza pensare.
Chiedo scusa…. ma era una conversazione privata.

Come ha fatto notare Uildm Pavia in una nota pubblicata sulla sua pagina Facebookle parole hanno un peso specifico molto alto”. Sempre. E non solo quando vengono pronunciate in pubblico. “Restiamo sconcertati e delusi da come, ancora oggi, rappresentanti delle istituzioni usino vocaboli e terminologie completamente sbagliate”, sottolinea Uildm.

Usare “la parola con la M” per sminuire un avversario politico è esattamente la stessa cosa. È il segno che c’è ancora molta strada da percorrere per garantire una piena inclusione delle persone con disabilità.

“È grave che nelle chat siano presenti anche interventi fatti dall’assessore ai servizi sociali -commenta Fabio Pirastu, presidente Uildm Pavia e membro del consiglio direttivo di LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità-. Ed è grave il fatto che non ci sia una reale comprensione di quello che è stato detto e della gravità delle affermazioni che sono state fatte. Queste parole sono l’equivalente dei ‘cinque minuti’ di chi lascia l’automobile in divieto di sosta sullo stallo riservato alle persone con disabilità”.

Ma se dopo anni di battaglie e campagne di sensibilizzazione, oggi c’è una maggiore consapevolezza quanto meno sullo stigmatizzre chi parcheggia l’auto in uno stallo riservato, la strada da fare per un linguaggio corretto e inclusivo è ancora tanta.

Ilaria Sesana
responsabile comunicazione LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità

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