Accessibilità e inclusione, due facce della stessa medaglia

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«Bisogna innescare un circolo virtuoso – scrive Donata Scannavini, commentando un recente evento dedicato all’accessibilità, promosso dalla Regione Lombardia – per cui un modello culturale inclusivo generi progetti di spazi e luoghi fruibili e accessibili a tutti, con o senza disabilità, i quali, a loro volta, facendo incontrare le persone e creando occasioni di conoscenza e scambio reciproco, favoriscano la crescita di una cultura sempre più inclusiva»

Il 22 ottobre scorso si è svolta a Milano la prima di tre Giornate di studio per il nuovo Piano di Azione Regionale rivolto alle persone con disabilità, organizzate dalla Regione Lombardia.  Scopo di questi incontri è ragionare attorno ad alcune tematiche di interesse nevralgico per le persone con disabilità, coinvolgendo i portatori d’interesse (stakeholder), ovvero le stesse persone con disabilità, gli operatori e i rappresentanti delle istituzioni, e producendo riflessioni, idee e linee guida che guideranno appunto la stesura del Piano di Azione Regionale di durata triennale, rivolto alle persone con disabilità.

Tema centrale della prima giornata è stato quello dell’accessibilità, declinata nei suoi diversi aspetti e àmbiti. Quadro di riferimento normativo in primis la Legge 18/09 che, in recepimento di quanto previsto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, prevede che tutti i luoghi, compresi quelli di svago, ricreativi, sportivi e culturali, siano resi accessibili a tutti.
In questo senso, come sottolineato dall’architetto Armando De Salvatore, collaboratore della LEDHA [Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.], si parla di progettazione universale, per cui l’accessibilità non riguarda solo alcuni luoghi generalmente frequentati dalle persone con disabilità, ma tutti gli àmbiti della vita quotidiana.
In tale direzione sono da intendere gli interventi come il bando della Regione Lombardia denominato Realizzazione e adeguamento di parchi giochi inclusivi (Delibera di Giunta Regionale n. XI/3364  del 14 luglio 2020), che ha finanziato 127 progetti volti a rendere accessibili e inclusivi i parchi giochi presenti sul territorio.
Altrettanto importante è stata l’istituzione, tramite la Legge Regionale 14/20, del Registro Regionale Telematico dei PEBA (Piani di Eliminazione delle Barriere Architettoniche), nel quale i Comuni, le Province e le Città Metropolitana possono inserire i Piani stessi e i programmi degli interventi che intendono realizzare in materia di accessibilità.

Se molto è stato fatto, molto però resta ancora da fare, ad esempio per facilitare la fruibilità di luoghi di svago come i cinema alle persone con problemi di udito, nonché usare accorgimenti che possano migliorare l’accessibilità dei luoghi pubblici per le persone con disabilità visiva.
Ciò che va per altro messo in evidenza è un concetto emerso con forza durante l’incontro e che appare decisamente importante, perché se da una parte potrebbe sembrare scontato e banale, dall’altra, a parere di chi scrive, ha una portata senz’altro innovativa.
Quando si parla infatti di accessibilità, si pensa a tutta una serie di problematiche e interventi da affrontare per agevolare la mobilità e la vita sociale di una parte della popolazione, le persone con disabilità. In realtà bisogna operare un cambio di prospettiva e incominciare a considerare l’accessibilità come un fattore che riguarda tutti: la mamma con la carrozzina, la persona anziana, ma anche il giovanotto che normalmente fa tre gradini per volta, che però si è rotto un piede, per cui gli è più comodo usare lo scivolo invece delle scale per accedere a un determinato edificio.
Andando poi ulteriormente a fondo della questione, si tratta di passare dall’idea di inserimento della persona con disabilità, ad esempio nella scuola – per cui il bambino/a o il ragazzo/a vengono sì inseriti nella classe, ma poi non partecipano in toto alla vita della classe stessa, avendo percorsi e spazi differenti – a quella di inclusione, dove ogni persona, con o senza disabilità, sia membro effettivo del gruppo in cui è inserito. Non più dunque percorsi diversi, in qualche modo paralleli a quelli degli altri, ma realmente integrati, in ambienti accessibili a chiunque, qualunque sia la condizione e il momento di vita in cui si trova.

Avere un modello di riferimento inclusivo significa anche fare scelte concrete nella progettazione di spazi e luoghi: non più aree riservate negli stadi o palazzetti dello sport, per cui se io, persona con disabilità, vado con amici a un concerto o a vedere una partita, devo dividermi da loro per andare nei posti a me riservati – ottima conquista rispetto al passato, quando era impensabile che una persona con disabilità partecipasse a un evento o a una manifestazione pubblica – ma spazi fruibili e accessibili a tutti, ove sia favorito l’incontro e lo scambio tra le persone, abili o disabili che siano.
Bisogna insomma innescare un circolo virtuoso per cui un modello culturale inclusivo generi progetti di spazi e luoghi accessibili a tutti i quali a loro volta, facendo incontrare le persone e creando occasioni di conoscenza e scambio reciproco, favoriscano la crescita di una cultura sempre più inclusiva.

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