Non presto, ma prestissimo, occorre rilanciare una scuola tutta inclusiva!

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«Ho letto con molto interesse e piena condivisione su queste stesse pagine – scrive Salvatore Nocera – l’appassionato e accorato articolo di Adriana De Luca riguardante il crescente deterioramento della qualità inclusiva della nostra scuola e le proposte per migliorarla. Purtroppo la situazione attuale non induce certo all’ottimismo, anche considerando la bozza circolante di un emanando Decreto-Legge, che aumenterebbe la quantità di docenti di sostegno, ma non certo la qualità. Si può dunque davvero sperare in un’improvvisa illuminazione da parte del Ministero?»

Ho letto con molto interesse e piena condivisione su queste stesse pagine l’appassionato e accorato articolo È una scuola che deve diventare migliore per tutti e tutte della professoressa Adriana De Luca, rilanciato ottimamente dalla Lista di discussione Suggerimenti per la didattica della vicinanza, testo riguardante il crescente deterioramento della qualità inclusiva della nostra scuola e le proposte per migliorarla.
Come detto, condivido pienamente il suo vibrante intervento che mi rimanda ai gloriosi Anni Sessanta e Settanta, poiché pure io li ho condivisi come docente cieco di Diritto negli Istituti Tecnici Commerciali. Stando poi al Ministero, ho visto nascere la “Commissione Falcucci” e i primi passi dell’avvio dell’inclusione. Ricordo pure io la passione pedagogica che ci inculcava Andrea Canevaro e l’influsso fondamentale che il suo pensiero e il suo esempio diede alla formulazione della Legge Quadro 104/92 in tema di inclusione scolastica. Ho vissuto pure io – nella mia doppia veste di docente utilizzato dall’82 al Ministero e di dirigente di Associazioni di persone con disabilità e poi dentro pure alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) dal ’94 – la passione di rinnovamento della didattica, determinata dall’ingresso generalizzato per la prima volta nelle classi comuni degli alunni/alunne con disabilità. Ho collaborato con il prezioso lavoro svolto da ispettori quali Laura Serpico, Aldo Zelioli, Sergio Neri, Raffaele Iosa e altri, che hanno sino alla fine del primo millennio organizzato corsi di aggiornamento per docenti, programmati organicamente in modo da coprire tutto il territorio nazionale.

Purtroppo dopo il 2000, anno nel quale si concluse l’iter inclusivo a livello normativo, pervenendo sino al riconoscimento del diritto degli alunni con disabilità di accesso nelle scuole paritarie con la Legge 62/00, i corsi di aggiornamento si sono drasticamente ridotti. La spinta propulsiva dell’inclusione è venuta attenuandosi, sino a pervenire in questi ultimi anni al rifiuto di organizzare dei “corsetti” di aggiornamento nelle scuole di 25 ore annuali, introdotti dalla Legge di Bilancio per il 2021 (Legge 178/20, articolo 1, comma 961) e immediatamente stoppati.
Il declino culturale e politico dell’inclusione scolastica è poi precipitato nei tempi più recenti, pure con la paralisi dell’Osservatorio Permanente per l’Inclusione, previsto presso il Ministero dell’Istruzione sin dal 1988, che incredibilmente non viene convocato dal mese di settembre dello scorso anno, pur essendovi un corposo lavoro normativo da svolgere, dovuto all’emanazione di numerosi, importanti e urgenti regolamenti applicativi del Decreto Legislativo 66/17.
Alle carenze denunciate dalla professoressa De Luca, potrei aggiungere la mancata formazione contestuale alla nuova impostazione dei corsi di specializzazione polivalenti del 1986 e di un piano di aggiornamento e formazione sull’inclusione scolastica dei docenti disciplinari delle scuole secondarie, specie dagli Anni Duemila. Ciò ha determinato, come denunciato da De Luca, la delega crescente ai soli docenti di sostegno, nonché il progressivo discredito del processo inclusivo italiano, molto apprezzato all’estero, ma molto meno dal livello politico del nostro Paese, come si evince anche dai dati impietosi riportati dall’articolo della stessa professoressa De Luca.
Ebbene, la cosa si aggrava ulteriormente se si legge la bozza circolante di un emanando Decreto-Legge recante Disposizioni urgenti in materia di sostegno didattico agli alunni con disabilità, per il regolare avvio dell’anno scolastico 2024/2025 e in materia di istruzione e merito.
L’urgenza del Decreto sembrerebbe determinata dalla necessità di aumentare il numero di docenti di sostegno, un terzo dei quali (circa 70.000) attualmente è privo di specializzazione e di immissione in ruolo. Se il Governo veramente volesse sostenere il miglioramento della qualità dell’inclusione, dovrebbe contestualmente guardare alla qualità della specializzazione dei docenti che immette in ruolo e invece in quella bozza si legge incredibilmente che verranno immessi in ruolo sul sostegno docenti che abbiano insegnato per almeno tre anni, senza specializzazione, e che abbiano conseguito 30 Crediti Formativi Universitari. Cosa penseranno a questo punto i docenti che, per conseguire l’auspicata specializzazione, hanno dovuto sostenere, a proprie spese, prima le prove selettive, talora ripetute, e poi l’anno di specializzazione, sempre a proprie spese?
Ma c’è di più: entreranno in ruolo anche i docenti che abbiano conseguito la specializzazione all’estero, che svolgeranno solo dieci – dicasi dieci – Crediti Formativi.
Già da tempo le Associazioni, e in primis la FISH, hanno denunciato lo sconcio delle specializzazioni conseguite all’estero, talora online e talora con la semplice iscrizione e il pagamento della quota, ricevendo a domicilio il diploma di specializzazione. E i 30 o i 10 Crediti Formativi non saranno svolti dalle Università, ma dall’INDIRE (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa), istituito per ben altre finalità…
Per i nostri alunni con disabilità e le nostre famiglie l’urgenza che giustificherebbe l’emanazione di un Decreto Legge non è tanto quella di aumentare il numero dei docenti, ma quella di aumentarlo con docenti veramente preparati. Vero è che siamo sotto elezioni, ma molti di noi che hanno creduto e ancora continuano a credere alla serietà dell’inclusione scolastica italiana, non possono accettare silenziosamente che si contrabbandi per miglioramento della qualità dell’inclusione, l’“imbarcata” di docenti preparati in tali inaccettabili modi.

Occorrono serie riforme non solo dell’inclusione scolastica, ma, come si evidenzia da tutto l’articolo della professoressa De Luca, anche di tutta la didattica della scuola. Condivido le sue proposte, perché sono frutto di esperienza e di professionalità maturata sul campo. Sull’accoglimento, invece, della proposta della cosiddetta “cattedra inclusiva”, che più realisticamente io definisco “cattedra mista”, avanzo serie perplessità, da me espresse anche in altra sede, pur riconoscendo la bellezza teorica della stessa, ma della quale, insieme ad altri esperti, riconosciamo, purtroppo, l’impraticabilità organizzativa generalizzata obbligatoria su tutto il territorio nazionale. Che essa si sia realizzata in alcune scuole e che possa ancora riproporsi volontaristicamente in qualche altra scuola è possibile e auspicabile, anche perché ciò è già permesso dall’articolo 12 del citato Decreto 66/17. Ma proporla come risposta risolutiva di tutti i problemi che la professoressa De Luca ed io abbiamo segnalato, mi sembra troppo utopistico.

Pure su un altro passaggio dell’ottima e analitica descrizione dei danni e delle proposte migliorative della scuola italiana esposte dalla professoressa De Luca, vorrei proporre una mia riflessione.
Mi riferisco a quando si scrive: «Per il 3-4% di gravissimi può essere pensato un modo diverso di stare a scuola, che consenta a loro di vivere in una comunità educante e accogliente con supporti adeguati e ai cosiddetti “normali” di educarli all’accettazione del limite e all’apprezzamento della vita e delle sue caratteristiche, indipendentemente dalla condizione in cui essa si svolge; avranno occasioni nella vita in cui questi apprendimenti torneranno loro utili». A tal proposito mi sembra riduttivo prevedere, sia pure per il 3 o 4% degli alunni con disabilità, di scolarizzarsi solo in “comunità educanti”. È certamente assurdo pretendere, come fanno alcuni “oltranzisti”, che anche gli alunni “con necessità di sostegni intensivi” (come suggerisce il nuovo Decreto Legislativo 62/24 per gli alunni cosiddetti “in situazione di gravità”) debbano stare in classe sempre anche durante ore di lezione per loro del tutto incomprensibili e quindi inutili. Per questi alunni i progetti inclusivi potrebbero prevedere percorsi integrati di presenza in classe, con periodi di presenza in “comunità accoglienti”. Ciò è permesso dall’articolo 16, comma 1 della Legge 104/92, che stabilisce il diritto degli alunni con disabilità a far sì che il loro PEI (Piano Educativo Individualizzato) preveda «attività integrative» in sostituzione parziale di quelle disciplinari.
Certo, sono naturalmente da rigettare le proposte del professor Galli Della Loggia e del generale Vannacci di confinare tali alunni in scuole speciali, come pure è da condannare la prassi illegittima, ma purtroppo assai diffusa, di mandare tali alunni con il solo docente di sostegno e da soli nell’altrettanto illegittima cosiddetta “aula di sostegno”.

Per una maggiore preparazione inclusiva di tutti i docenti disciplinari e per una migliore specializzazione del sostegno, la FISH ha elaborato una propria Proposta di Legge sull’istituzione di apposite classi di concorso per il sostegno, onde realizzare una seria scelta professionale, all’atto della scelta universitaria, e risolvere l’annoso problema della continuità didattica, almeno del sostegno, attualmente inesistente per i docenti di ruolo.
Il ministro Valditara, meritoriamente, ha risolto quello dei docenti precari con l’articolo 16 del “Disegno di Legge Semplificazioni”, che prevede la possibilità di permanenza per altri due anni sul posto di sostegno, qualora lo richieda la famiglia, con il consenso del docente e la decisione discrezionale del dirigente scolastico, salvi però i preventivi diritti di occupare il posto da parte dei docenti di ruolo che aspirano al trasferimento o dei docenti precari inseriti in posizione utile nelle rispettive graduatorie.
Ovviamente la Proposta di Legge della FISH non si limita solo ad occuparsi della continuità didattica dei docenti di sostegno; prevede infatti una loro specializzazione più seria, portando l’attuale insufficiente anno di specializzazione a due anni e questo per il fatto che quotidianamente si denuncia come questa preparazione, essendo “polivalente”, non sia in grado di rispondere ai bisogni educativi e inclusivi degli alunni con le differenti situazioni di disabilità. Ancor meno lo sarà con l’entrata in vigore del nuovo Decreto Legislativo 62/24, che richiederà una maggiore competenza nel comprendere e attuare il Profilo di Funzionamento dei differenti alunni con disabilità.
Ricordo solo che quando le specializzazioni erano “monovalenti”, cioè formulate per una sola tipologia di bisogni educativi derivanti da un’unica minorazione (cecità sordità, psicofisicità), i corsi di specializzazione duravano due anni. Adesso non solo si riducono di durata, ma addirittura si vuole assegnarli all’INDIRE, che è nata ed è professionalmente preparata in modo serio per ben altri compiti.
Volendo seriamente preparare i futuri docenti di sostegno, occorrerebbe accogliere la proposta avanzata dal professor Luigi d’Alonzo, già presidente della SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale), immediatamente rilanciata dalla FISH e riguardante l’istituzione di “scuole di specializzazione” presso le Facoltà di Scienze della Formazione, come da sempre avviene per le altre facoltà.

La Proposta di Legge della FISH prevede inoltre, in contemporanea, la formazione iniziale sull’inclusione dei docenti disciplinari, come è avvenuto seriamente per i primi trent’anni dell’inclusione a partire dagli Anni Settanta. Se poi finalmente il DPCM del 4 agosto 2023 ha posto fine alla grave omissione ministeriale della formazione dei laureati che desiderano insegnare, istituendo l’anno abilitante obbligatorio successivo alla laurea, quella norma, però, prevede purtroppo solo un numero “ridicolo” di Crediti Formativi Universitari sulla Pedagogia e le Didattiche Speciali. Pertanto permarrà la delega ai soli docenti di sostegno da parte dei docenti disciplinari. Su questo la FISH ha chiesto, seguendo la proposta del professor d’Alonzo, un serio aumento del numero di Crediti Formativi su tali discipline, dal momento che l’inclusione scolastica è stata felicemente e magistralmente definita dal professor Dario Ianes come «il DNA della scuola italiana», ma a tale proposta ancora non si è avuto alcun cenno di riscontro dal Governo, se si eccettua quella cui si è accennato in precedenza dell’emanando Decreto Legge, che riteniamo sicuramente irricevibile.

Quanto fin qui detto, dunque, non induce certo all’ottimismo. Però, durante la messa di domenica scorsa, festività della Pentecoste, ho ascoltato la sequenza «vieni Santo Spirito a rinnovare la terra»! Voglio quindi sperare che questo auspicio venga accolto laicamente dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, affinché voglia veramente rendere l’inclusione italiana anch’essa “del merito”, rinunciando innanzitutto all’emanazione del Decreto di cui si è detto oppure provvedendo a una radicale e salutare “purga” di esso. A tal fine invierò senz’altro al Ministero l’articolo della professoressa De Luca e questo mio, sperando in un’improvvisa illuminazione!

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