Autismo: quali servizi per quale inclusione?

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Inclusione, benessere e valorizzazione delle differenze. Cambiare la comunità per renderla più a misura di tutti e favorire il benessere personale costituisce oggi la sfida centrale di quelle politiche di welfare che interpretano il welfare stesso come strumento essenziale non solo per assistere le persone, ma anche per sostenere le comunità ad organizzarsi diversamente, favorendo nuovi percorsi di vita e di cittadinanza attiva anche per le persone più fragili.

All’interno di questa riflessione più ampia, immaginare nuovi percorsi di cittadinanza “più” attiva per le persone autistiche è un tema emergente, sfidante e di grande impatto personale e sociale per le nostre comunità, che chiama sicuramente in causa anche il ruolo e la funzione dei servizi dedicati a tutte le persone con disabilità. In particolare, per quanto riguarda i servizi che oggi accolgono e sostengono le persone autistiche, con le loro specificità e differenze relative a desideri, aspettative e bisogni di sostegno, è necessario agire su più fronti: programmare nuovi servizi; riprogrammare servizi storicamente dedicati alle persone con disabilità cognitiva; coinvolgere e formare i servizi dell’area della salute mentale.

Quali processi e forme di inclusione possiamo immaginare oggi per valorizzare al massimo tutte le differenze e tra queste anche quelle che caratterizzano l’ampio universo dell’autismo? E quali sono le diverse forme di promozione e di sostegno per il benessere personale che oggi riusciamo ad immaginare per le persone autistiche e per le loro famiglie, che possono essere veicolate con efficacia attraverso i servizi?

A partire da questi interrogativi, al termine della tre giorni lombarda di “In&Aut”, possiamo proporre almeno tre spunti di riflessione, facendo riferimento all’esperienza di Spazio Aperto Servizi per immaginare, ri-pensare e declinare processi inclusivi e servizi che tengano conto delle caratteristiche dell’autismo e delle sue esigenze specifiche.

Inclusione

Si tratta di immaginare percorsi di inclusione che favoriscano il benessere e il miglioramento della qualità della vita, favorendo un approccio all’inclusione relativizzabile, personalizzabile: inclusione più come un principio naturale che come valore assoluto da perseguire senza se e senza ma… Siamo confortati in tal senso dalla consapevolezza crescente che l’autismo richiede un approccio “esperto” cioè consapevole delle caratteristiche e delle peculiarità di questo disturbo del neurosviluppo, che per sua natura non dovrebbe essere affrontato con una generica procedura di inclusione. Queste infatti rischiano,?se non ben pensate e progettate sulle caratteristiche individuali delle persone e dei contesti di cui ci si occupa, di produrre più danni che vantaggi.

Oggi c’è carenza di servizi sanitari territoriali rispetto all’importante aumento di diagnosi, ma ci sono anche progetti, sperimentazioni e risposte sempre più attente e con competenze specifiche per i minori con disabilità dello sviluppo: alcune risposte arrivano da un lavoro avviato trent’anni fa, quando anche SAS sperimentava le prime risposte ad un nuovo bisogno – “l’autismo” – nello stesso momento storico in cui nascevano le prime associazioni di genitori con cui SAS ha sempre collaborato. Basti pensare anche alla fatica che si sta facendo affinché la diagnosi precoce sia un elemento essenziale non per guarire i bambini, ma per garantire loro il pieno diritto di godere di una presa in carico capace di includere il minore nei suoi ambienti di vita evitando l’isolamento sociale dello stesso e della sua famiglia. SAS ha da subito implementato un modello di presa in carico globale che riuscisse a lavorare su tutti i contesti di vita sia formali che informali, tra i quali la scuola, luogo dove il minore ha diritto di “imparare” dai suoi compagni e i suoi compagni “imparare” da lui. In questo modo si crea una cultura inclusiva naturale. Sempre nel mondo scuola è fondamentale formare e informare insegnanti e operatori, sia tramite percorsi teorici e pratici ma anche lavorando con il gruppo classe nel suo insieme. Questo è un primo importante passo per abbattere le barriere architettoniche e mentali che ancora rendono difficile garantire il pieno diritto alla vita comunitaria di queste persone, in tutti i loro contesti di vita: oltre alla scuola si pensi per esempio agli oratori, ai parchi gioco, ai luoghi di sport…

Quando le persone autistiche diventano adolescenti e poi adulte o quando persone adulte si rendono conto di avere caratteristiche compatibili all’autismo, c’è poi la necessità di avere progetti, servizi, ambulatori per l’autismo attivamente impegnati nel supporto clinico ma anche nella partecipazione alla rete sociale che deve occuparsi del progetto di vita. Un’inclusione, insomma, in cui il tema è quello dell’organizzazione pensata di contesti “inclusivi”, che li rendano reali situazioni di espansione potenziale delle soggettività di tutti. È proprio in tale prospettiva che l’inclusione è stata col tempo riconosciuta effettivamente come fondamentale anche per le persone autistiche, facendosi faticosamente spazio tra le opposte mitologie dei prodigiosi effetti delle tecniche di implementazione delle capacità delle singole persone autistiche e spesso – peggio ancora – degli immaginari (malgrado le molte evidenze contrarie) poteri taumaturgici?di un’inclusione aprioristica e decontestualizzata. Il processo è stato lungo e faticoso ma la consapevolezza in tal senso è crescente.

Servizi diurni e ambulatoriali

Occorrono spazi allestibili per accogliere persone autistiche nel rispetto delle diversità che le caratterizzano per età e stile di funzionamento. Si tratta sì di immaginarli ma anche, almeno in parte, di ripensarli e di attrezzarli meglio a partire dal loro funzionamento. Di farne delle “officine” che costruiscano percorsi di benessere, lavorando anche – e in alcuni casi soprattutto – sui contesti di vita della persona: fuori oltreché dentro. Per la persona, con la persona, ma anche con il suo contesto e con il suo ambiente di vita e con la sua comunità di appartenenza.

Servono servizi in grado di valutare i diversi stili di funzionamento autistico, di rispondere alle diverse esigenze che caratterizzano la crescita, l’avvio dell’adolescenza, la transizione all’età adulta e le sfide che l’età adulta comporta.

Servizi che possano accompagnare lungo tutto il corso di vita. A partire dunque dai più piccoli, dai bambini. Per poi essere fruibili e disponibili lungo tutto il corso di vita facendo la dovuta attenzione al riconoscimento dei vari passaggi del ciclo di vita delle persone. Ed assumendo anche la sfida ed il compito di promuovere le condizioni per l’emancipazione adulta delle persone sia dal proprio contesto familiare originario, sia entro i limiti e le possibilità individuali, dai servizi stessi. Percorsi di riduzione della dipendenza esclusiva e di promozione di interdipendenze più larghe. Luoghi dove le persone vivono un momento della loro vita sia in termini della quotidianità che nel lungo periodo. Non servizi diurni per sempre, quindi, come luoghi a cui le persone siano destinate finché “i genitori ce la fanno a tenerli a casa”, ma servizi specialistici sempre disponibili come luoghi che attrezzino le persone ed i loro contesti di vita per favorire il loro star bene, la loro cittadinanza attiva e li sostengano a “utentizzarsi” sempre di meno, preparando le persone autistiche, i loro genitori e gli stessi operatori al distacco e all’emancipazione come prospettiva di successo da prefigurare e raggiungere in età adulta, coltivando e promuovendo anche percorsi occupazionali e di avviamento al lavoro.

I srervizi residenziali

Qui la sfida è quella di allestire non più luoghi di cura, di assistenza e di sostegno che promuovano la vita ma luoghi di vita che sappiano anche sostenere la cura e l’accompagnamento integrato e globale della persona. Non è soltanto un gioco di parole ma una precisa indicazione delle Linee Guida per gli adulti con autismo dell’Istituto Superiore di Sanità (2023), in particolare nei materiali preparatori alle raccomandazioni?sull’abitare e sugli interventi occupazionali. Tali Linee Guida, giova ricordarlo, sono state costruite attraverso la valutazione delle evidenze scientifiche e con il contributo non solo degli operatori ma anche delle persone autistiche e dei genitori, che hanno concretamente favorito il rovesciamento?di prospettiva del legame (che rimane necessario) tra “contesto di vita e assistenza-abilitazione” anche attraverso l’elemento decisivo del “fare insieme”.

Insieme tra genitori, specialisti, operatori della sanità e del sociale e sempre di più anche insieme alle persone autistiche stesse, a cui oggi più formalmente ci si richiama con le definizioni di “progettazione partecipata” e “co-progettazione” e co-programmazione. Servizi residenziali quindi che devono articolarsi e differenziarsi progressivamente e integrarsi con tutti gli altri servizi territoriali, fino a definire un sistema di opportunità in grado di incontrare il sistema di preferenze e di valori di ogni singola persona.

Marco Bollani e Luciano Cattaneo, Spazio Aperto Servizi. Con un particolare ringraziamento a Maria Luisa Scattoni, neurobiologa, Istituto Superiore di Sanità; Francesco Barale Psichiatra, Università degli Studi di Pavia, co-Fondatore di Cascina Rossago e Laboratorio Autismo Università di Pavia; Marco Bertelli, consulente psichiatra e direttore scientifico Centro Ricerca E Ambulatori (CREA) della Fondazione San Sebastiano della Misericordia di Firenze; Raffaella Faggioli, psicologa psicoterapeuta e educatrice professionale, Officina Psicoeducativa Milano

 

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